«Un popolo pieno di speranza»
A destra: Silvia Sinibaldi
:: Dal sito di Caritas Europa: “War in Ukraine”
:: Dal sito di Caritas Italiana: “Sei mesi di guerra in Ucraina: proseguono gli interventi”
Nel corso di questi sei mesi di conflitto, come è cambiato il ruolo dell’azione umanitaria? È ancora strettamente emergenziale? Quali sono i bisogni che stanno emergendo?
«È una domanda interessante e legittima, visto che siamo arrivati alla conclusione del sesto mese dall’inizio del conflitto. I bisogni sono aumentati e nonostante siano già passati sei mesi, un tempo circoscritto in cui varie emergenze umanitarie possono concludersi, nel caso dell’Ucraina è differente. I bisogni qui sono in continuo aumento: ci sono sia quelli emergenziali, che è facile immaginarsi, quali cibo, kit igienici, protezione, aiuti strettamente umanitari. Ma a questi si aggiungono altri tipi di bisogni legati a una guerra che è ancora in corso, che si sposta in continuazione, a una guerra molto subdola. Ci sono attualmente aree in fase di evacuazione. Recente è infatti la notizia dell’evacuazione del Donetsk e la ragione risiede anche nel fatto che sul territorio non sono più disponibili acqua, elettricità e gas. E questo chiaramente comporta che le persone non possano più vivere in quella regione ma debbano trovare rifugio in altre aree del Paese. Inoltre, nonostante siamo ancora nel pieno della stagione estiva, è utile iniziare a pensare al sostegno per i mesi invernali, perché con ogni probabilità il conflitto non si concluderà a stretto giro. Ovviamente nella stagione invernale i bisogni sono ancora maggiori, soprattutto in un contesto nel quale la disponibilità di gasolio, di combustibili, si riduce fortemente e varia molto in base al variare della guerra. Per questo la rete Caritas, ma anche le varie organizzazioni umanitarie nel Paese, stanno iniziando a lavorare per programmare una risposta efficace al freddo inverno ucraino: una risposta organizzata sia in coordinamento fra la Caritas e gli attori locali, sia con le agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio».
Nell’ambito del conflitto ucraino, in base alla sua esperienza, quali sono le categorie più vulnerabili?
«Le categorie più vulnerabili sono quelle che ci si può immaginare, quindi donne, bambini, anziani, persone con disabilità; ed è verso loro che il nostro aiuto è orientato in maniera prioritaria. Però bisogna considerare che ci sono milioni di sfollati interni, ai quali si aggiungono altri milioni di persone che hanno lasciato l’Ucraina per rifugiarsi nei Paesi limitrofi; si tratta di uomini, donne e bambini che vivono una situazione di vulnerabilità perché costretti dalle violenze del conflitto ad abbandonare le loro case e separarsi dalle proprie famiglie».
Come stanno reagendo le Caritas e gli operatori che prestano soccorso alle persone in fuga? Come stanno vivendo questo periodo di dolore che dura da ormai sei mesi?
«In Ucraina operano due Caritas, la Caritas Ucraina e la Caritas Spes, che fanno rispettivamente riferimento alle comunità di rito greco-cattolico e romano-cattolico. I loro staff hanno vissuto lo stesso destino, le stesse sfide comuni a tutta la popolazione ucraina: sono diventati profughi in fuga, sfollati interni con le famiglie spaccate dalla guerra e hanno impiegato circa un mese, dall’inizio dei bombardamenti, per ricomporsi e ritrovarsi come organizzazione. Da quel momento in poi hanno ricominciato a lavorare più forti e uniti di prima, con grande senso di solidarietà interno e una grande volontà di lavorare in squadra. L’attenzione e la cura degli operatori è infatti un’importante componente dei progetti di supporto che, come rete Caritas Europa, stiamo portando avanti, perché senza di loro, senza le donne e gli uomini della Caritas, gli aiuti faticano ad arrivare a destinazione. Ed è fondamentale che in questo percorso di attenzione alla persona anche gli operatori stessi si dotino di giorni di riposo, di prendersi dei momenti di pausa soprattutto adesso che siamo nella stagione estiva. Non è semplice ma è necessario farlo. A questo si aggiunge che ci sono alcuni uffici delle Caritas nel Paese che sono stati chiusi: Mariupol è stata attaccata e in questa fase ci sono interi cluster di operatori che hanno dovuto riaprire i loro uffici in altre località; ciò nonostante è stato possibile portare aiuti alla popolazione da quei luoghi, anche se le difficoltà continuano ad essere grandissime. Tuttavia se all’inizio esistevano poche decine di centri attivi, adesso a sei mesi dalla guerra la sola Caritas Ucraina ne ha 40 con oltre 200 parrocchie; questo sicuramente è un indicatore di quanto forte sia la volontà di andare avanti come Caritas».
La presidente di Caritas Ucraina e il direttore di Caritas Spes (appaiono entrambi anche nel video sotto), in una recente intervista, raccontavano della grande presenza e attivismo dato dai volontari a sostegno delle attività della Caritas. Come si spiega una così grande partecipazione e solidarietà, quando in realtà la guerra spingerebbe semplicemente a mettersi in salvo?
«Sì, è impressionante ed è un elemento che scalda tantissimo il cuore. Per i cittadini ucraini il fatto di portare solidarietà ai membri della loro stessa comunità restituisce dignità, perché aiutando l’altro, aiutando il prossimo, si aiuta anche un po’ noi stessi. C’era una frase che in tempi di pandemia risuonava dai social ai giornali, alla voce della gente comune: “Nessuno si salva da solo”. Una verità che anche in Ucraina dà vita e offre speranza».
Video sull’impegno Caritas in Ucraina a sei mesi dallo scoppio del conflitto
Quali le aree geografiche attualmente più calde, maggiormente colpite dal conflitto?
«Sicuramente la parte est e sud del Paese sono le più impattate, dopo la recente ordinanza di evacuazione del Donetsk e le minacce che stanno investendo, nella parte sud del Paese, la regione di Zaporizhia e Mikolaiv. Queste aree sono le più deboli in questo momento».
Che tipo di guerra è quella che si sta combattendo sul suolo ucraino? Rispetto ad altri conflitti, ad esempio quello siriano, la guerra in Ucraina è caratterizzata da un continuo flusso di profughi/rifugiati che si muovono da un Paese all’altro. Un flusso, dal punto di vista dei numeri, difficilmente quantificabile nell’immediato. La Caritas ha la possibilità di prevedere i flussi per riuscire a rispondere ai tantissimi bisogni sia di chi rimane, sia delle persone in fuga?
«Prevedere non è semplicissimo, però la Caritas ha un valore aggiunto dato dall’estrema capillarità all’interno dell’Ucraina e negli altri Paesi europei. Per cui nonostante sia difficile prevedere i flussi, perché possono cambiare, gli ucraini sono in gran parte registrati nei Paesi di accoglienza. Bisogna inoltre considerare che fra meno di un mese ricomincerà l’anno scolastico. Questo comporta che le famiglie con bambini abbiano il desiderio e il diritto a una certa stanzialità, perché i bambini delle scuole primarie cominceranno verosimilmente l’anno scolastico all’interno di un Paese e quindi lì rimarranno. A questo si aggiunge che le persone si stanno stanziando sempre più nei luoghi di arrivo, vivendo in appartamenti, cercando delle situazioni più stabili; elementi che aiutano a prevedere un po’ le tipologie e le modalità degli interventi. Molte delle previsioni di aiuti dipenderanno tuttavia dall’evolversi della guerra, perché tante famiglie appena possibile non vedono l’ora di tornare stabilmente in Ucraina e fino ad oggi sono stati molti gli “avanti e indietro” all’interno dei confini nazionali, soprattutto per coloro che provengono dall’ovest del Paese».
Qual è il ruolo di Caritas Europa nella gestione dell’emergenza? Che tipo di accompagnamento ha strutturato nei confronti delle Caritas coinvolte dal conflitto?
«Caritas Europa ha “l’onere e l’onore” di cercare di tenere insieme la rete delle Caritas in supporto all’emergenza Ucraina. Quello che Caritas Europa persegue fin dai primi giorni del conflitto, dal 24 febbraio, è di far sì che la risposta di solidarietà sia più inclusiva possibile e che arrivi al maggior numero di persone in stato di bisogno. Questo significa avere un costante monitoraggio delle richieste provenienti dalle due Caritas in Ucraina e dai Paesi limitrofi; di capire quale tipo di risposta può arrivare dalle Caritas sorelle europee e del resto del mondo. Di grande importanza è l’accompagnamento delle Caritas nazionali: ascoltare e rispondere ai loro bisogni, ma anche proteggerle per far sì che possano essere concentrate sul loro lavoro. Come network Caritas cerchiamo di offrire un supporto tecnico e umano a 360 gradi, aiutando nella mappatura, nella scrittura e nell’implementazione dei progetti di emergenza per coprire tutto il territorio ucraino colpito, senza lasciare delle aree e delle comunità scoperte. Il nostro aiuto coinvolge anche altri ambiti rilevanti quali la tutela e salvaguardia dei minori, la protezione, la sicurezza, la comunicazione».
Cosa prevede per il futuro dell’Ucraina? Ritiene che questa guerra durerà ancora a lungo?
«Non so se la guerra durerà ancora a lungo. Posso dire che gli ucraini con cui ho la possibilità di parlare tutti i giorni sono molto tenaci e speranzosi; speranzosi in un futuro di pace nel loro Paese. Purtroppo ci sono dei momenti di grande sconforto perché questa è una guerra subdola e gli scenari nel prossimo futuro sono difficili da accettare. Però la speranza, la tenacia, la resilienza del popolo ucraino sono reali, concrete e guardano oltre la guerra» (fine).