Anziani non autosufficienti
Enrica e gli altri
Quando alcuni inquilini della scala si sono resi conto che erano mesi che la signora Enrica del quinto piano non si vedeva più in giro, sorpresi e un po’ preoccupati hanno cercato di capire che cosa fosse accaduto. Il vicino di Enrica ha raccontato loro che l’anziana era caduta mesi addietro, rompendosi il femore, e che dopo essere rimasta allettata per un po’ di tempo, adesso usciva molto più di rado, con il suo girello e con l’aiuto di una badante che viveva con lei giorno e notte. Come gli aveva confidato lui stesso, era stato molto complicato per il figlio trovare in tempi rapidi una soluzione alla condizione della madre: capire a chi rivolgersi, individuare una persona adatta che potesse stare con lei, fare domanda per ottenere l’accompagnamento. E poi c’era lei, Enrica, il suo dolore, la sua fatica per abituarsi a questa sua nuova condizione, passando dall’autonomia alla dipendenza da qualcuno per fare qualunque cosa nella propria casa e fuori.
Come quella di Enrica sono numerosissime in Italia le situazioni di non autosufficienza in cui si trovano persone con più di 65 anni di età. Si stima che gli anziani “non autonomi” siano quasi tre milioni, di cui la quasi totalità vive in famiglia e solo il 10% risiede invece permanentemente in strutture (le cosiddette RSA). Questa situazione non ha prospettive di miglioramento: già oggi siamo uno dei Paesi più longevi al mondo e all’invecchiamento della popolazione si associano, man mano che l’età aumenta, una sempre minore autonomia per le persone nello svolgimento delle loro occupazioni quotidiane e problemi di salute (si pensi solo al fatto che la compresenza di patologie croniche, in gergo “comorbilità”, in venti anni è raddoppiata negli ultraottantenni).
Un Patto per le esigenze di anziani, famiglie, operatori
Con la pandemia la questione ha riguadagnato finalmente un posto di primo piano nel pubblico dibattito: l’amaro bilancio del Covid ha posto in risalto come a essere colpita nel nostro Paese sia stata soprattutto la fascia di età tra i 65 e i 79 anni; inoltre è ancora impressa nella mente di molti di noi l’immagine dei volontari che, nei mesi del lockdown, si aggiravano per le strade deserte, a centinaia e migliaia, impegnati nella consegna a domicilio agli anziani soli delle nostre città di pasti e altri generi di prima necessità, approfittando di queste occasioni per salutarli sull’uscio della porta e assicurarsi che tutto andasse bene. Il Covid è stato per le nostre comunità un momento di presa di coscienza di quanto fosse diventato ormai urgente “fare qualcosa” per i nostri anziani e farlo subito, bene, insieme e con competenza.
Da questa esigenza ha preso le mosse una iniziativa di mobilitazione organizzata che, a partire dal luglio 2021, ha “unito le forze” e le competenze, mettendole al servizio di questo obiettivo comune e portando alla nascita di una coalizione denominata “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” (www.pattononautosufficienza.it). Caritas Italiana ha da subito aderito a questa compagine, insieme ad altre 50 associazioni e soggetti che rappresentano la gran parte del vasto e variegato universo della comunità della non autosufficienza nel nostro Paese. Partendo dalle lacune dell’attuale sistema di assistenza agli anziani non autosufficienti si è cercato di costruire una proposta complessiva che, una volta per tutte, mettesse insieme bisogni degli anziani, esigenze delle famiglie, fatiche degli operatori del settore e dei gestori di residenze per anziani e individuasse soluzioni per migliorare a 360 gradi.
Il primo grande successo portato a casa dal Patto, grazie a un lavoro di informazione e pressione mirata a livello istituzionale, è consistito nell’esser riusciti a fare introdurre fra le azioni prioritarie da mettere in atto per favorire la ripresa dell’Italia dopo il Covid, la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, che è stata infatti inserita nella seconda versione del PNRR. In questo modo il Governo ha assunto impegni vincolati alla stringente tabella di marcia del PNRR: approvare un disegno di legge entro la primavera del 2023 e mettere a punto i decreti attuativi per rendere effettiva la riforma entro il primo semestre del 2024. Si è così riusciti a blindare l’avvio e il compimento di questo lungo e faticoso iter legislativo, che però è ancora a rischio nella fase di transizione politica che stiamo vivendo in queste settimane.
L’articolata proposta del Patto
Ma andiamo a vedere come cambieranno le cose una volta che la riforma sarà approvata. Il Patto ha elaborato una articolata proposta, frutto di uno scambio e un confronto molto partecipato fra le organizzazioni aderenti. Le soluzioni individuate, come è stato più volte sottolineato dal coordinatore scientifico del Patto, il professor Cristiano Gori, non sono innovative in sé, ma lo sono rispetto alla realtà del welfare italiano.
Il cuore della proposta consiste nella creazione di un Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA) che dovrebbe collocare sotto una unica cornice le tre filiere istituzionali che si occupano di non autosufficienza e che sono molto poco coordinate fra loro allo stato attuale: le politiche sanitarie, le politiche sociali e i trasferimenti monetari dell’INPS. È un obiettivo sia ambizioso che realistico, in quanto solo affrontando in questo modo la questione si può sperare di riuscire a migliorare finalmente in modo significativo e utile la vita di anziani, famiglie e il sistema dei servizi.
Lo SNA prevede innanzitutto un percorso unico per gli anziani e le loro famiglie per accedere alla rete del welfare: un punto unico di accesso (PUA) che fornisca orientamento, informazione e supporto amministrativo a cui anziani e famiglie possono facilmente rivolgersi in caso di bisogno, collocato per semplicità, ad esempio, presso le case della comunità; una unica valutazione nazionale di base (VBN) della condizione dell’anziano per definire quali siano le prestazioni nazionali che può ricevere (indennità di accompagnamento, agevolazioni fiscali, congedi e permessi di lavoro per i caregiver); se ammessi allo SNA, gli anziani vengono poi indirizzati alla successiva valutazione territoriale di titolarità di ASL e Comuni che costruiscono congiuntamente (ecco l’altra novità) il progetto assistenziale integrato per l’anziano (PAI). Rispetto a oggi il percorso diventerebbe più trasparente e agevole nell’accesso ai diritti (punto di accesso), molto più semplice (si passa da 5-6 valutazioni a 2) e continuativo (le 2 valutazioni sono collegate fra loro).
L’altro elemento di novità della proposta del Patto consiste nella rete integrata di risposte. Il punto cruciale è infatti costruire una filiera di risposte pubbliche fortemente integrate fra loro, differenziate e complementari che si snodino dall’assistenza domiciliare a quella semiresidenziale e residenziale a seconda della gravità e della tipologia di bisogno dell’anziano (interventi domiciliari, soluzioni abitative di servizio, servizi semiresidenziali, servizi residenziali, prestazione universale per la non autosufficienza, interventi ulteriori per gli assistenti familiari, interventi per gli adulti con disabilità che invecchiano).
Su questo sottolineiamo solo alcuni elementi. Rispetto alla domiciliarità, che ora è suddivisa tra ASL (ADI), quella prevalente, e Comuni (SAD), la proposta del Patto prevede: un meccanismo che renda unitarie le risposte fra ASL e Comuni; un mix di interventi medico-infermieristico-riabilitativi e di supporto nelle attività quotidiane; un sostegno a familiari e badanti; un’assistenza per tutto il tempo necessario (oggi 2-3 mesi) e con l’intensità adeguata.
Rispetto alla indennità di accompagnamento, la proposta del Patto ne prevede la sostituzione in chiave migliorativa con una prestazione universale per la non autosufficienza, che andrebbe erogata a chiunque ne abbia bisogno indipendentemente dalle condizioni economiche, modulando però gli importi in base al fabbisogno assistenziale delle persone e (chi ha maggiori bisogni riceverà di più) e dando una duplice opzione: riceverla senza vincoli di utilizzo oppure utilizzarla per accedere a servizi alla persona, in questo caso con una maggiorazione dell’importo ricevuto.
Infine per la residenzialità dovrebbe essere garantita una elevata qualità degli ambienti di vita, una dotazione di personale in grado di andare incontro alle esigenze degli anziani (oggi i dati dicono che l’insufficiente numero di operatori sia un problema diffuso e comune nelle strutture residenziali) e rette che siano eque e sostenibili per le famiglie.
La direzione è stata bene individuata dal Patto e condivisa in diverse occasioni con gli interlocutori istituzionali, il progetto della strada da realizzare è stato messo a punto, non resta ora che passare alla fase realizzativa. Durante l’incontro promosso da Caritas Italiana e Acli lo scorso 7 settembre a Roma “Un nuovo patto per la non autosufficienza” si è cercato di ribadire con forza l’urgenza di approvare la legge delega entro la fine della legislatura: «non possiamo né dobbiamo lasciare che le turbolenze politico-istituzionali interrompano un percorso così faticosamente avviato – ha detto il direttore di Caritas Italiana, Don Marco Pagniello –. La discontinuità della politica mal si accorda con la continuità dei processi sociali». Ecco perché è importante ribadire questa priorità di azione e portare a compimento il lavoro intrapreso nei mesi scorsi. Quello degli anziani non autosufficienti è un tema troppo trascurato e troppo urgente per poter rischiare di essere tralasciato ancora una volta (fine).
Aggiornato il 22/09/22 alle ore 11:47