La gioia del servizio
In occasione del cinquantesimo anniversario di Caritas Italiana, nel 2021, Papa Francesco ha indicato tre vie: la via degli ultimi, della creatività e del Vangelo. Gli operatori e volontari le custodiscono come un tesoro. E le percorrono, nei rispettivi territori e non solo. Cercando sempre nuovi spunti di riflessione. Per questo i temi che ruotano intorno all’indicazione del Santo Padre caratterizzano anche il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, a Grado, dall’8 all’11 aprile. Ogni giorno una via, una testimonianza, un’esperienza concreta. Martedì, secondo giorno di lavori del convegno, si parte con la via degli ultimi. Fra Francesco Zanoni, 39 anni, parmense, è custode della Fraternità Francescana di Betania, sede di Verona.
Fra Francesco, le abbiamo chiesto una frase che ci accompagnasse in questo Convegno e che i 600 partecipanti trovano nel dépliant. Lei ci ha detto: «Restare con Gesù è restare con i poveri; restare con i poveri è restare con Gesù. Ricordandosi che non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare».
«Cerchiamo di metterlo in pratica ogni giorno nei confronti degli ultimi, un po’ in tutte le nostre fraternità in Italia e nel mondo, ma che io vivo in modo particolare a Verona. Ogni giorno abbiamo centinaia di persone che ci vengono incontro. Nei loro volti, nelle loro storie, nelle loro vite vediamo il volto di Gesù. Tenendo sempre in mente che non esiste, come diceva Santa Teresa di Calcutta, una povertà più brutta, una povertà peggiore di chi non sente il minimo amore da dare a coloro che sono in difficoltà».
Avverte l’urgenza di comunicare cosa con il suo intervento al Convegno?
«La tematica dell’indifferenza. Se ne parla tanto, però poi resta sempre lì. Un’indifferenza che non aiuta nella gestione delle problematiche sociali di oggi, soprattutto quelle che riguardano le persone povere».
E cosa invece vorrebbe che fosse per lei questo momento che vivrà al Convegno?
«Un’occasione per conoscere, comprendere, interagire con tante realtà che sicuramente possono essere di grande aiuto, stabilire delle relazioni per migliorare tutte le nostre attività nei confronti delle persone in difficoltà».
Quando ha incontrato la Caritas la prima volta?
«Io sono nato e cresciuto a Parma e sono sempre stato molto attivo nella mia parrocchia di origine. Ricordo quando il parroco ci invitava a sostenere le opere della Caritas nella mia città: dopo tanti anni mi accorgo di aver dato un seppur piccolo contributo a un grande servizio che l’organismo pastorale rende ogni giorno. Non ne ero pienamente consapevole allora, ma mi rendo conto che mi ha insegnato tanto. Il primo approccio con le persone povere l’ho avuto grazie a quell’esperienza lì. Mi ha aperto un orizzonte».
Lei coltiva l’interesse per la vita sacerdotale sin da bambino. Poi però nella vita ha fatto altro prima di intraprendere questa strada. Ad esempio, è stato educatore sportivo. Cosa resta di quel suo pezzo di vita?
«È vero. Quando avevo otto-dieci anni già sentivo nel cuore la vocazione alla vita religiosa, al sacerdozio. Ma ho avuto esperienze molto belle nello studio, nel lavoro. E quello che più resta sono le amicizie, i tanti legami che ho instaurato prima del sacerdozio, di cui mi alimento ancora oggi».
Il Convento di cui lei è custode – conosciuto anche come il Convento del Barana – si trova in una zona della città di Verona vicina al centro storico. Definite questa zona “strategica”. Anche perché è visibile a tutti? Perché così chiunque può vedere un segno dell’amore di Dio e degli uomini per chi fa più fatica?
«Noi siamo lungo la strada. In tanti ogni giorno passano di lì e restano colpiti nel vedere quante persone si mettono in fila per accedere alla mensa, ai nostri servizi. Siamo aperti 365 giorni l’anno. Tutti a Verona sanno cosa avviene nel convento di Barana. Siamo conosciuti per la mensa, certo, ma anche perché siamo un po’ il confessionale di Verona. Confessiamo tantissimo».
Scrivete nel vostro sito: «Abbiamo la gioia di servire».
«La nostra gioia nasce anche dalla gratitudine che scorgiamo nei volti di queste persone. Incontriamo storie difficili, problematiche, però non manca mai quel sorriso che ci dà non solo tanta gioia, appunto, ma ancora più stimoli per proseguire e operare sempre meglio».
Non si dimentica l’affetto ricevuto. E appena si può..
«Qualche anno fa abbiamo organizzato una festa qui in convento. Volevamo ordinare delle pizze, ma eravamo in pieno agosto. Ho chiamato diverse pizzerie e nessuna rispondeva. Alla fine da una pizzeria mi hanno risposto, dicendomi, però, che erano chiusi. Quando parlando ho detto di essere un frate del convento del Barana, questa persona si è subito resa disponibile, dicendomi che avrei potuto chiedergli ciò di cui avevo bisogno. La sera quest’uomo mi porta le pizze – un numero considerevole – e inizia a commuoversi, a piangere. Poi mi abbraccia dicendomi: “Io per tanti anni sono stato ospite della vostra mensa. Accettate queste pizze come mio gesto di riconoscenza per tutto il bene che mi avete fatto. Questo per me è stato veramente sorprendente, perché mi ha fatto capire quanti bei sentimenti si generano quando le storie si incontrano, si intrecciano. È bellissimo».
Fra Francesco, il pasto, il calore umano, un sorriso, una parola di conforto esauriscono il vostro servizio?
«Noi siamo conosciuti principalmente per la mensa, però abbiamo anche un servizio docce, un servizio lavanderia, prepariamo pacchi alimentari per centinaia di famiglie che cerchiamo e contattiamo nella massima riservatezza. Abbiamo la collaborazione di diversi medici che offrono la loro professionalità, così come gli avvocati di strada, che si prodigano nei confronti di quelle situazioni un po’ ingarbugliate. Non ultimo il grandissimo dono dell’Associazione Betania Francescana, strettamente legata alla Fraternità, di cui fanno parte centinaia di persone che ci aiutano ogni giorno a svolgere i numerosi servizi. E poi prendiamo in carico alcune situazioni, siamo entrati in contatto con tante storie di famiglie che si sono rivolte a noi per un aiuto concreto, come la ricerca di una casa, di un lavoro. Abbiamo accompagnato anche delle persone malate, assistite al capezzale dell’ospedale».
Così Papa Francesco nel suo discorso per il cinquantesimo di Caritas Italiana: «La storia non si guarda dalla prospettiva dei vincenti, che la fanno apparire bella e perfetta, ma da quella dei poveri, perché è la prospettiva di Gesù».
«Vedere il volto di Gesù nel volto dei poveri non è facile. Ci si riesce conoscendoli, parlando con loro, instaurando un legame che duri nel tempo e che ti fa comprendere le storie, i vissuti, le ferite. Allora pian piano inizi ad assumere quello stile, che ci ha comandato anzitutto Gesù, di vedere nel volto dell’altro il suo stesso volto. Quando facciamo questo passo, ci immedesimiamo nel loro vissuto – e non mi riferisco solo alle povertà materiali: penso alle persone malate, sole – , quando ci facciamo prossimi in senso pieno, allora si può avere anche la possibilità di guardare nello stesso verso. Se non si fa questo salto si cade nel giudizio, si rischia di stare lì con il dito puntato».
Il Convegno Caritas ha al centro il tema del confine. C’è un confine da attraversare prima di percorrere la via degli ultimi?
«La frontiera da attraversare è sicuramente quella del pregiudizio, una barriera che non aiuta l’approccio con gli “ultimi”. Quante volte passiamo davanti a una persona povera facendo finta di niente, anzi, spesso giudicando perché quella persona magari chiede l’elemosina. Bisogna abbattere il pregiudizio che non ci dà la possibilità di aprire il nostro cuore all’amore e in questo caso alla carità autentica».