“Masterchef” con i migranti: intervista al cuoco Miran Karic
A Sarajevo, nella Scuola superiore cattolica Sv. Josip, si è svolto una masterclass di cucina all’insegna dell’intercultura. L’iniziativa, collocata nell’ambito del progetto BRAT (Balkan Route – Accoglienza in Transito) ha visto la partecipazione di una ventina di giovani studenti della scuola, locali e migranti, e di sei minori non accompagnati che viaggiano lungo la rotta balcanica, ospitati nella Safe House di Sarajevo, sempre finanziata dal progetto BRAT. I ragazzi partecipanti hanno preparato diverse pietanze, tipiche delle loro terre di origine. Lo scopo? promuovere la cultura e le tradizioni dei Paesi di provenienza dei ragazzi migranti, come Marocco, Siria, Afghanistan, Pakistan e costruire relazioni tra la popolazione migrante e quella locale. Fra gli obiettivi dell’attività la volontà di migliorare la percezione della popolazione locale nei confronti dei migranti, utilizzando il cibo come strumento per favorire il dialogo. Grazie al noto chef bosniaco Miran Karic che, con gentilezza, professionalità e a titolo gratuito, ha guidato i giovani nelle realizzazioni gastronomiche, questi si sono messi alla prova creando, fra loro, relazioni.
Miran, originario di Zanica, è un cuoco bosniaco molto noto nel suo paese. Dedito all’arte e alla musica (è anche un ottimo violoncellista) ci racconta la sua esperienza a contatto con i giovani di BRAT.
Sei uno chef molto famoso in Bosnia, ed è bellissimo che tu abbia scelto di sostenere il progetto BRAT, nello specifico questa masterclass di cucina… in cosa consisteva l’evento?
Grazie per le tue gentili parole! L’evento riguardava i ragazzi stranieri, giovani in viaggio dalla Siria, Afghanistan, Marocco che migrano attraverso il nostro Paese, e grazie a questa occasione hanno avuto la possibilità di presentare i loro piatti nazionali, di raccontare attraverso il cibo la loro storia. Sono rimasto davvero stupito da loro e dal modo in cui cucinavano. Soprattutto dalla conoscenza delle loro tradizioni culinarie, parliamo di giovani di 15, 16, 18 anni.
Cosa ti ha spinto a voler partecipare?
Cerco sempre di trovare nuove strade per aiutare i giovani, attraverso il mio lavoro, e questa opportunità si è presentata come un modo perfetto per contribuire a una causa che è allo stesso tempo vantaggiosa per loro e anche impegnativa per me, ma gratificante per tutti.
In che modo, secondo te, la cucina può essere uno strumento di connessione fra le persone? Qual è la magia del cibo?
In ogni modo! La cucina è una lingua internazionale senza confini, come l’amore! Quel giorno, abbiamo fatto incontrare sei ragazzi migranti con un paio di nostri ragazzi locali della stessa età. Non si erano mai incontrati prima, in 30 minuti hanno iniziato a lavorare insieme, a preparare piatti meravigliosi, a sorridere, a creare senza stress, senza differenze di cultura, religione o colore della pelle, solo pura gioia di cucinare, dando vita a profumi meravigliosi e suoni, trame! Presentare un piatto è presentare se stessi, per questo la cucina è così importante nelle nostre identità.
Il cibo è davvero magico, prendi un pomodoro, uno spicchio d’aglio e un po’ di pasta, puoi mangiarlo così ma puoi anche dargli un po’ d’amore e crei una bellissima pasta al pomodoro, proprio così!
Al termine della masterclass a uno dei sei ragazzi che hanno partecipato, Ibrahim, hai offerto un posto di lavoro… cosa hai visto in lui?
Per un paio d’ore li ho osservati, ho osservato il loro comportamento e ne sono rimasto sorpreso. Sono sempre molto critico nei confronti dei giovani, è così che sono cresciuto, spingendomi sempre oltre, e a volte devi semplicemente spingere qualcun altro che al momento non può farlo da solo! Ibrahim è un bravo ragazzo, giovane, che attualmente lavora come barbiere in una casa sicura, ma gli piace cucinare e vuole lavorare, questo è tutto ciò di cui ho bisogno in un apprendista.
Quale il sogno per il tuo Paese? Pensi che un cammino di integrazione fra locali e migranti possa essere possibile?
Nel mio lavoro c’è carenza di personale e sarà ancora peggio negli anni successivi. Questa è una grande opportunità per tutti noi, possiamo far conoscere la Bosnia Erzegovina come un buon posto dove vivere e possiamo scambiarci cultura e bellezza con le persone che viaggiano attraverso il nostro Paese, anche dal punto di vista culinario. Cucinare è un modo per integrarsi più facilmente nel lavoro! Noi bosniaci siamo persone gentili e accoglienti, e abbiamo più cose in comune con tutti loro, con i migranti, di quanto pensiamo. Anche a noi serve solo una piccola spinta!
Aggiornato il 05/08/24 alle ore 10:55