26 Settembre 2024

Gente di mare, gente dal mare

Nuovo sbarco a Santa Maria di Leuca: operatori e volontari Caritas accolgono le persone migranti. E le emozioni si mescolano

Le foto pubblicate in questo articolo sono della Caritas diocesana di Ugento – Santa Maria di Leuca

Santa Maria di Leuca, Puglia, costa leccese. Pomeriggio di sabato 21 settembre 2024. La Guardia di Finanza porta sani e salvi nel porto 88 naufraghi provenienti da Iran, Afghanistan e Egitto. Per noi della Caritas diocesana tutto è iniziato intorno alle ore 14.00, quando ci hanno avvisati dell’arrivo di una barca con persone migranti. Da diversi anni interveniamo per dare il benvenuto nel Capo di Leuca, rispondendo all’invito rivolto da Papa Francesco nel 2018 in occasione della sua visita alla tomba di Don Tonino Bello. «Questa vocazione di pace – ha detto il papa – appartiene alla vostra terra, a questa meravigliosa terra di frontiera (finis terrae) che Don Tonino chiamava “terra-finestra”, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, dove “i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno”». Siete una «finestra aperta – ha proseguito il papa –, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia».

Offriamo sempre un piccolo sostegno all’approdo, una bevanda, qualcosa di dolce, del vestiario. Da qualche tempo abbiamo iniziato ad ascoltare le loro storie, dei vari nuclei famigliari, la sofferenza nel lasciare le rispettive terre dove non intravedono un futuro per i propri figli.

Quella che queste persone attraversano è la tratta della “via della seta”. A volte raggiungono le nostre coste fin dal Bangladesh, e una volta arrivati in Turchia i più poveri prendono la rotta balcanica risalendo dalla Bulgaria mentre chi ha disponibilità economiche maggiori prende il mare, evita la Grecia e cerca di raggiungere l’Italia. In questi anni abbiamo incontrato volti di uomini, donne e bambini provenienti da molti Paesi asiatici e africani: pakistani, afghani, siriani, egiziani, somali, turchi e i curdi di ogni nazione.

Un piccolo rivolo del grande fiume della migrazione mondiale, storie di persone che cercano una vita migliore e pace.

Il 21 settembre alla distribuzione di generi di conforto e all’ascolto delle loro storie si è aggiunta l’attenzione ai piccoli, grazie alla presenza di Chiara, referente del punto Lettura interculturale Caritas, che ha “offerto” alcune storie tratte dagli albi illustrati e delle giovani del servizio civile universale in Caritas, Alessia e Martina (seguono le loro testimonianze), che hanno fatto ballare i piccoli donando momenti di leggerezza. Inoltre erano presenti Emanuele, Ornella e Vito, che hanno provveduto a distribuire biscotti, portati delle parrocchie della cattedrale di Ugento e di quella di Depressa di Tricase, succhi e macedonia che avevamo in Caritas.

SOGNI CHE VIAGGIANO OLTRE IL MARE

Alessia Buccarello, volontaria del Servizio Civile Universale

«Sabato 21 settembre è stato un giorno che non dimenticherò mai. Il porto di Santa Maria di Leuca sembrava sospeso nel tempo; come se ogni cosa intorno a noi si fosse fermata per accogliere quel gruppo di 88 persone, provenienti dall’Afghanistan, dall’Iran e dalla Turchia, che sbarcavano dopo cinque lunghi giorni in mare. Non dimenticherò mai i loro volti, le loro espressioni, soprattutto quelle dei bambini.

Ricordo quando lessi il libro “Stanotte guardiamo le stelle”, che racconta il viaggio disperato di chi fugge dalla propria terra. L’autore aveva vissuto in prima persona quell’odissea, e non potevo pensare che un giorno avrei incontrato sguardi simili, che avrei aiutato anch’io. Una frase che mi colpì profondamente: “Chi parla degli emigrati usa spesso la parola disperati. È che non c’è niente di più simile alla speranza nel decidere di emigrare: speranza di arrivare da qualche parte migliore, speranza di farcela, speranza di sopravvivere, di tenere duro, speranza di un lieto fine come al cinema.

Ecco, quelle parole sono riaffiorate nella mia mente mentre guardavo gli occhi di Emir, Erkan e Aisma.

Nei loro sguardi non c’era disperazione, ma una scintilla di speranza che brillava nonostante tutto.

Emir, con il suo sguardo attento, osservava ogni movimento intorno a sé, come se cercasse di capire dove sarebbe finito il suo viaggio. Erkan stringeva la mano del padre con forza, e ogni tanto mi lanciava uno sguardo timido ma curioso. Asma, con quel sorriso leggero, sembrava aver già trovato conforto nei biscotti che distribuivamo.

Era difficile immaginare cosa potessero aver vissuto, ma in quel momento erano lì, con noi, al sicuro.

Molti di loro mi chiedevano l’hotspot per poter chiamare i parenti rimasti in Afghanistan. Mi ha colpito profondamente la loro necessità di stabilire un contatto, di far sapere che erano arrivati, che stavano bene. Erano così ansiosi di sentire quelle voci dall’altra parte del mondo, di annunciare che ce l’avevano fatta, almeno per un altro giorno.

Abbiamo messo anche un po’ di musica per loro. Ricordo ancora come gli occhi di Aisma si sono illuminati: hanno iniziato a ballare, a divertirsi, come se per un attimo il peso del loro viaggio si fosse alleggerito. Vederli ridere e muoversi spensierati è stato un sollievo per il cuore.

È stata un’esperienza unica, che mi ha toccato profondamente. Un’esperienza che fa capire quanto siano fragili i confini tra le nostre vite e quelle degli altri. Mai avrei pensato di trovarmi lì, a vivere un momento simile, eppure quel giorno ha cambiato qualcosa dentro di me. Ho capito quanto sia forte la speranza, quanto un essere umano sia disposto a sacrificare per cercare un futuro migliore».

UN PONTE DI UMANITÀ

Martina Ecclesie, volontaria del Servizio Civile Universale

«Sabato, quando ci hanno avvisati dell’eventuale sbarco al porto di Leuca, ero davvero emozionata, desiderosa di andare ad accogliere i migranti. Sentivo il bisogno di mettere in pratica tutto ciò che ho imparato nel mio percorso universitario e, allo stesso tempo, volevo mettermi alla prova: capire quanto fossi pronta a gestire le mie emozioni e a vivere l’intensità di uno sbarco per la prima volta.

Arrivati al porto, appena la nave della Guardia Costiera si è fermata, mi sono avvicinata, col cuore che batteva forte. In quel momento ho sentito un turbinio di emozioni: ansia, timore e una leggera paura dell’ignoto. Man mano che mi avvicinavo sempre di più al centro della nave, ho notato dei bambini. Erano così piccoli e spaventati; un’immagine che mi è rimasta impressa nella mente. Quei volti segnati dalla paura, dal freddo e dalla stanchezza raccontavano più di mille parole.

Poco dopo, i migranti hanno iniziato a scendere uno alla volta. Ho subito aiutato a distribuire succhi e biscotti, cercando di alleviare anche solo per un attimo il loro disagio. Vedevo nei loro occhi la gratitudine, ma anche il peso del lungo viaggio. Mi sono avvicinata a una madre con due figli. Il suo volto mostrava forza e determinazione, ma celava bene il dolore che, forse, non voleva mostrare ai suoi piccoli. Le ho chiesto da dove venisse e da quanto tempo stesse viaggiando. Mi ha risposto con voce calma, ma stanca: “Siamo in viaggio da cinque giorni e quattro notti, siamo partiti dalla Turchia”.

Poi un’altra donna, con lo sguardo perso nel vuoto. Mi chiedevo a cosa stesse pensando: alle persone che aveva lasciato indietro? Al futuro incerto che l’aspettava? Era un silenzio carico di emozioni, difficile da descrivere.

Inizialmente i bambini erano impauriti e diffidenti, ma piano piano hanno iniziato a sorridermi. Ogni piccolo sorriso che ricevevo mi riempiva il cuore di gioia. In quei momenti, nonostante il dolore e la sofferenza che avevo davanti, sentivo che quel piccolo gesto era sufficiente a creare un ponte di umanità tra noi».

Aggiornato il 26/09/24 alle ore 15:16