Sospendiamo i brevetti dei vaccini
«Il tempo dell’indecisione va superato; occorre agire con urgenza». Così Caritas Europa conclude la bozza di documento, inviata nei giorni scorsi ai membri nazionali della sua rete, per invitarli a sollecitare i rispettivi governi. Su un argomento che le cronache degli ultimi giorni hanno rivelato decisivo per la salute e la protezione non solo e non tanto dei paesi più fragili e poveri, ma in generale delle società e delle economie di tutto il globo: la necessità di derogare ai brevetti sui vaccini, sui metodi diagnostici e sui metodi di cura relativi alla pandemia da Covid-19.
La variante Omicron del virus Sars Cov-2 ha infatti dimostrato, con l’inappellabilità di una cronaca che ha nuovamente gettato il mondo nello scompiglio pandemico, che gli appelli dei mesi scorsi a intensificare gli sforzi relativi alla fornitura, alla produzione e alla inoculazione del siero anche nei paesi meno ricchi, non erano nobili inviti di anime belle, o vaticini di sventura lanciati da pauperisti di professione, ma la conseguenza di una previsione tanto semplice quanto difficile da confutare: finché ci saranno intere popolazioni non vaccinate, il virus avrà campo libero per diffondersi e modificarsi, a danno – in un pianeta in vari modi interconnesso – anche dei popoli che possono permettersi percentuali di immunizzazione (al netto dei No Vax) quasi a tre cifre.
Per vaccinare il mondo le strade possibili sono diverse, e non è detto che siano alternative. Un canale – finora quello privilegiato dalla comunità internazionale, ma con esiti di gran lunga carenti rispetto agli obiettivi dichiarati e agli impegni assunti – è rappresentato sostanzialmente dalle donazioni. L’iniziativa internazionale Covax, ovvero quella che l’Onu definisce «la più grande operazione di acquisizione e fornitura di vaccini nella storia», si proponeva di rendere disponibili «almeno 1,3 miliardi di dosi per le economie a basso reddito» entro fine 2021. Ma gli esiti non sono confortanti: le risorse mobilitate dai paesi ricchi per le donazioni ai paesi poveri e il partenariato organizzativo coordinato dalle stesse Nazioni Unite, mirato a coinvolgere anche partner privati, a cominciare da quelli del settore farmaceutico, sono rimasti nettamente al di sotto degli esiti previsti.
Le nazioni ricche sono sovradotate di vaccini,
acquistati oltre le effettive necessità. E ciò induce
i paesi poveri ad arrangiarsi con quanto avanza
E così – ricorda Caritas Europa, facendo l’esempio più drammatico e più inerente al quadro variato da Omicron – «in Africa solo il 6% della popolazione, che ammonta a 1,3 miliardi di persone, è stato totalmente vaccinato, e un ulteriore 2,9% parzialmente vaccinato. (…) La situazione è particolarmente preoccupante in paesi che vivono crisi umanitarie, che avrebbero avuto bisogno di 700 milioni di dosi vaccinali in più per raggiungere l’obiettivo, definito dall’Organizzazione mondiale della sanità, di vaccinare il 40% delle loro popolazioni entro la fine dell’anno».
Le carenze dell’iniziativa Covax, sin da quando fu lanciata, sono peraltro figlie di squilibri e disuguaglianze strutturali: «Le nazioni ricche come le nostre – sintetizza Caritas Europa – sono sovradotate di vaccini, acquistati oltre le effettive necessità, e ciò induce i paesi a medio e basso reddito a doversi arrangiare con quanto avanza. Ma questi paesi non possono essere ridotti unicamente a sollecitare i paesi ad alto reddito perché donino vaccini». Soprattutto se – e sarebbe una beffa cinica, paventata e denunciata dalle reti solidaristiche europee Eurodad ed Euractiv – queste donazioni finissero per rivelarsi non autenticamente gratuite, ma computate nel cumulo degli aiuti ai paesi poveri, sottraendo di fatto risorse ad altri, analogamente rilevanti impegni in materia di cooperazione allo sviluppo.
Paternalistici o cooperativi?
L’altra strada percorribile, non contrapposta, ma integrabile – se lo si volesse – con quella delle donazioni, è dunque rappresentata dall’incremento della capacità di produzione dei vaccini, da parte dei Paesi a medio e basso reddito, perché siano i loro stessi sistemi industriali a garantire, almeno in parte, scorte adeguate e accesso diffuso. «L’Ue e gli stati membri hanno fatto grandi sforzi – riconosce Caritas – per sviluppare politiche coerenti e partnership eque nei settori della salute, del lavoro e del commercio con alcuni blocchi regionali, in occasione del recente rinnovo degli accordi Ue-Acp e nella preparazione del summit Africa-Ue. Ma partnership eque comportano che si abbandoni il modello per cui donazioni e gesti di carità ad hoc predominano sulla collaborazione in economia e per la salute».
La vicenda dei brevetti dei vaccini, in effetti, parrebbe rispondere più a uno schema paternalistico che a uno cooperativo. E l’ambiguità permea anche i diversi attori istituzionali della scena europea. Il parlamento di Strasburgo, da un lato, ha approvato il 25 novembre una risoluzione (che richiama analogo pronunciamento del 30 giugno) nella quale «ricorda che l’Unione dovrebbe partecipare attivamente a negoziati basati su testi per una deroga temporanea all’accordo Trips», ed esplicitamente invita gli organi esecutivi Ue «a sostenere la concessione di una deroga temporanea a talune disposizioni dell’accordo Trips per il Covid-19, in modo da migliorare l’accesso tempestivo globale ai vaccini, alle terapie e alla diagnostica a prezzi accessibili, affrontando i vincoli di produzione e le carenze di approvvigionamento a livello globale».
Peccato che l’azione della Commissione Ue, presieduta dalla tedesca Ursula von der Leyen, e del Consiglio europeo, presieduto dal belga Charles Michel, sul punto abbiano sinora utilizzato una bussola ben più prudente (eufemismo) di quella offerta dall’europarlamento, di fatto allineandosi all’orientamento espresso da alcuni dei più importanti governi nazionali europei (incluso quello italiano). «Le nazioni ricche dicono che la protezione dei brevetti è vitale per assicurare che Big Pharma continui a iniettare denaro nella ricerca e nell’innovazione, mentre i paesi in via di sviluppo argomentano che brevetti eccessivi e prolungati impediscono un accesso a buon mercato alle cure», sintetizza, in un recente articolo, la rivista Politico.
Confronto scomodo
In questo stallo si è insinuata la variante Omicron del virus, la quale – comparendo sulla scena globale pochi giorni prima che a Ginevra, dal 30 novembre al 3 dicembre, si svolgesse il Summit interministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) – ha offerto il pretesto per il rinvio a data indefinita di un confronto che avrebbe dovuto essere decisivo, ma che per i paesi avanzati, nonostante le aperture statunitensi, avrebbe potuto rivelarsi assai scomodo: in seno al Wto esiste infatti un’ampissima convergenza, e i paesi ricchi rischiano una contrapposizione che certo non gioca in favore di relazioni multilaterali serene e costruttive.
I diritti intellettuali sono importanti, non assoluti.
E la conoscenza è un bene che va contemperato
con altri interessi, a cominciare dalla salute pubblica
Continuare a opporsi alla sospensione temporanea dei brevetti, proprio mentre la minaccia di Omicron si materializzava da uno dei paesi – il Sudafrica – che con maggior forza, ma senza successo, da mesi richiedevano di poter produrre vaccini alleggeriti dai vincoli di proprietà intellettuale, avrebbe potuto rivelarsi difficile anche per i più strenui sostenitori dell’intangibilità dei brevetti. Meglio, insomma, calciare la palla in tribuna, rimandando la discussione, per evitare un eccesso di impopolarità.
Il tema, però, resta vitalissimo. Esiste una forte mobilitazione da parte della società civile globale, che ha chiesto con forza una posizione al G20, che riunisce i paesi di riferimento di Big Pharma, senza ottenere alcuna apertura. Caritas Europa ha dunque buon gioco nell’evidenziare che «la sospensione temporanea dei brevetti ha il potenziale di massimizzare e diversificare la produzione di vaccini e cure a livello globale. Alcuni scienziati hanno evidenziato che la controproposta Ue è senza senso, se si occupa di vaccini senza nessun trasferimento di tecnologia».
La sospensione dei brevetti è invece una soluzione praticabile ed efficace, come ormai è difficile negare. Certo, va ribadito che la deroga temporanea agli accordi Trips sulla proprietà intellettuale «non è l’unica soluzione al tema dell’iniquità vaccinale, ma è comunque un critico e vitale componente degli sforzi per ridurre tale iniquità, ed è un obiettivo che l’Ue ha in suo potere e può implementare. Noi – conclude Caritas Europa – riconosciamo che i diritti intellettuali sono importanti, tuttavia non sono assoluti, e la conoscenza è un bene pubblico che va contemperato con altri interessi, come la salute pubblica. L’opportunità di proteggere il diritto dei propri cittadini ad avere salva la vita e a ricevere cure di qualità, non può essere determinata dalla ricchezza degli stati, o dipendere dalla benevolenza di altri».
Aggiornato il 15/12/21 alle ore 09:27