«Il mio film contro lo spreco»
Uno chef stellato che perde tutto e si ritrova per strada. Che scopre lo scandalo del cibo sprecato ma anche la possibilità di recuperarlo. Un regista che racconta tutto questo, anche grazie o nonostante – ce lo dirà – le sue passate esperienze nei più visti cooking show della nostra tv. Va bene, la metafora è scontata, però come non dire che gli ingredienti per un progetto interessante ci sono tutti? E infatti “Non morirò di fame”, questo il titolo del film, è denso, apre un mondo, e sotto la parola recupero mette il cibo e le relazioni. Lo chef Pier, infatti, il protagonista, ormai una persona senza dimora, cerca di riprendersi la propria vita riallacciando rapporti con gli amici e soprattutto con la figlia. Il regista è Umberto Spinazzola, al suo attivo i programmi “MasterChef Italia”, “Hell’s Kitchen”, “Family Food Fight”. E tre film: “Cous Cous, “L’ultimo crodino” e, appunto, quello attualmente nelle sale, “Non morirò di fame” (La Sarraz Pictures). Prossime date a Roma: sabato 1 e domenica 2 aprile alle ore 18.45 presso il Cinema Nuovo Aquila.
Ascolta l’intervista:
Umberto Spinazzola, la definiscono il regista del cibo, e sembrerebbe dai suoi lavori, ma in essi c’è molto di più, specialmente nell’ultimo: si parte dal cibo e poi la riflessione si allarga.
«Assolutamente. Questo film presenta un punto di vista diverso rispetto a quelli con cui di solito guardiamo il cibo, in questo grande luna park che si è creato intorno alla paroletta magica “food”. Il film cerca di avere uno sguardo nei confronti del cibo in primo luogo di rispetto e poi di speranza per un ritorno alla cucina povera, essenziale, oserei dire francescana».
Il cibo e la catena alimentare sono un business enorme. Ovviamente parliamo di grande distribuzione. Lei denuncia anche tutto questo con il film.
«In qualche modo sì perché spesso e volentieri la grande distribuzione, quasi in maniera programmata, crea lo scarto, crea un meccanismo molto contorto, per cui secondo me c’è bisogno di tirare i remi in barca, perché, per fare un esempio semplicissimo, se pensiamo a quanto pane si butta ancora ogni giorno in una qualsiasi metropoli italiana o europea… be’, è devastante. E se pensiamo a “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, il concetto è stato proprio ribaltato. Stiamo arrivando, se non ci si muove tutti insieme, a: “Butta oggi il nostro pane quotidiano”».
I dati ci dicono che nell’ultimo anno in Italia siamo stati più attenti all’utilizzo del cibo rispetto agli anni precedenti. Ma bisogna fare ancora tanto. Con il cibo gettato nel mondo si potrebbero nutrire tre miliardi di persone. L’obiettivo Onu è di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030. Non manca poi molto tempo. Ce la faremo secondo lei?
«Ce la faremo se continuiamo a tenere sempre alta, anzi, direi altissima, l’attenzione su questo tema. Perché poi scopriamo che tante cose grazie a Dio sono state fatte e si continuano a fare: da una legge antispreco alle iniziative di associazioni meravigliose come il Banco Alimentare, che ci ha aiutato davvero tanto, anche con il film. C’è gente che sta lavorando in maniera eccezionale su questo tema, però se noi parliamo con la gente comune scopriamo purtroppo che siamo in ritardo. Tornando alla domanda, io non lo so se nel 2030 ce la faremo, perché bisogna fare ancora di più per sensibilizzare l’opinione pubblica».
Spinazzola, nel film mostra quanto basti un piccolo difetto estetico in un frutto, un ortaggio – ovviamente buonissimo da mangiare – per buttarlo via.
«Sì, in questa società è molto violenta l’estetica del cibo. Poi ci si è messa anche, per certi versi, l’Unione europea: ad esempio nelle grandi catene siamo arrivati al paradosso che un mandarino per essere venduto deve rispettare determinate dimensioni, che si possono misurare con il calibro; insomma, deve avere un raggio, un’altezza. Mi sembra che stiamo rasentando un po’ la follia. In realtà ci sono tantissime cose buone da consumare quando chiude un mercato».
Pier, il protagonista del film, è uno chef stellato; probabilmente nel ristorante in cui lavora di cibo ne viene sprecato tantissimo, eppure si rende conto del problema solo quando vede il dietro le quinte, da persona senza dimora che cerca cibo a va lì dove viene messo prima di essere buttato. Dalla periferia le cose sono più chiare?
«Secondo me sì. Mi piace molto questo concetto di periferia, perché spesso e volentieri è dalla periferia che si parte per entrare nel tessuto sociale, per capirlo in profondità. È questo percorso “al contrario” di Pier, cioè dalla grande giostra, folle, impazzita del cibo anche un po’ spettacolo, che è quello delle stelle Michelin, lui si ritrova a poter osservare, a capire il vero valore del cibo quando giunge a una specie di capolinea, a una periferia, appunto».
Il film “Non morirò di fame” fa luce anche su un altro paradosso del fenomeno del cibo sprecato: il gesto di prendere, diciamo rubare, cibo dal magazzino di un supermercato che sta per essere buttato è perseguibile legalmente.
«Vero, lo è, però nel film mi piace molto lo sguardo incredulo del commissario di polizia che lascia andare Pier e il suo amico Granata, anche lui persona senza dimora, perché è talmente una follia! Dice: “Sì, avete commesso un furto, ma è roba che andava al macero”. È un po’ una metafora di questa strana deriva, ma è anche un modo per rendersi conto che dobbiamo fare ancora di più. E deve essere un’attenzione quotidiana, non si deve accumulare, bisogna fare in modo che ci sia sempre meno discarica».
Umberto Spinazzola, con “Non morirò di fame” tiene insieme il recupero del cibo e quello degli affetti. La solitudine di un uomo e la deriva di una società che consuma, spreca, non si interessa, non si prende cura di chi ha fame.
«Volevo far luce sul tema del famoso punto di rottura, che tutti noi da un momento all’altro possiamo avere. Spero che sia arrivato allo spettatore, ma sembra di sì, perché il film sta andando bene: piano piano sta trovando davvero il suo pubblico. Davanti a questa domanda faccio sempre l’esempio di un grande poeta e musicista vivente che è Nick Cave. In un bellissimo film del 2022, “This Much I Know to Be True”, lo vediamo partecipare nella notte a delle chat su un sito dove c’è gente disperata. A un certo punto una persona sconosciuta che ha problemi molto gravi gli chiede aiuto. Lui ci pensa su un giorno intero e poi gli scrive una riga semplicissima: “Cerca di stare tranquillo, di non sentirti ferito, perché tutti noi siamo sempre sull’orlo del baratro”. Questa frase l’ho trovata strepitosa in quanto davvero basta un clic e ci ritroviamo dall’altra parte. Non bisogna lasciarsi prendere dall’ira, ma riflettere e coltivare gli affetti. Nel mio film il padre ha perso il rapporto con la figlia, ma poi si rende conto che non si può andare avanti così, che bisogna ricostruire».
A proposito di ira. Seconda parte di “Non morirò di fame”. La scena che si svolge nella cucina del ristorante in cui Pier prova a tornare a lavorare, a rimettersi in pista dopo essere stato sulla strada. Lui prepara della pasta con cibo recuperato. Il cuoco che gestisce la cucina prende un piatto di quella pasta e lo scaraventa a terra. In quel momento per molti che hanno visto il film l’attenzione è tutta per il piatto, non per le persone presenti, il significato che ha quel gesto nella storia di Pier. Insomma, Spinazzola, se la reazione di chi guarda è quella di sdegno per il cibo gettato via, significa che il film ha raggiunto il suo scopo.
«Sono d’accordo e sono molto contento di questa cosa. Quella pasta per terra è un po’ il risultato della nevrosi che popola tanti ristoranti. Il fatto che Pier abbia intaccato un po’ il sistema con il suo ritorno a una cucina povera è come se avesse messo un ostacolo a uno showbiz che non deve mai essere fermato. La scena descritta è molto simbolica».
Dicevamo in apertura dei suoi trascorsi televisivi. Lei è stato regista di tanti cooking show. Anzitutto, il modo di raccontare il cibo, con le luci, il taglio dell’inquadratura, … Segue il cibo da molto vicino mentre viene preparato sia in “Non morirò di fame” che in “Masterchef”. Le differenze, visto che gli obiettivi dei due lavori non sono gli stessi.
«Sono due linguaggi molto diversi. “Masterchef” è un talent, racconta delle aspirazioni, in modo squisitamente televisivo; nel film il racconto è più emotivo, più, appunto, cinematografico. È importante entrare “dentro” al cibo, stargli addosso, ma solo se c’è questo racconto. L’importante per me è non avere mai la foto, l’immagine, la sequenza del cibo fine a se stessa. Anche tecnicamente c’è molta differenza: il cinema, con le sue luci e le sue ombre, ti consente di donare un graffio in più di poesia al cibo e all’immagine».
Spinazzola, ci siamo permessi di farle domande sulla questione dello spreco e del recupero di cibo perché lei non se ne è interessato solo per la realizzazione di questo film. È un tema che le sta a cuore da sempre. È riuscito, in questi programmi tv mainstream, a far passare qualche messaggio, a dare anche piccoli segnali?
«Sì, diverse volte abbiamo parlato del recupero del cibo. È un tema che anche con la rete non molliamo mai. Intanto c’è un’attenzione con gli enti che ci aiutano e che tutte le sere redistribuiscono quello che noi avanziamo. Ma poi cerchiamo sempre di tenere alta la bandiera, in ogni edizione dedichiamo una puntata al recupero, attraverso delle prove, … Per carità, resta uno show, ma non abbassiamo mai la guardia, perché è importante parlarne, far sapere».
La Fondazione Banco Alimentare Onlus – che lei ha citato prima – è charity partner del film. Il Banco promuove il recupero delle eccedenze alimentari e la redistribuzione alle strutture caritative. Avete in agenda delle date in cui presentate insieme il film. Questa collaborazione ha aumentato il suo grado di consapevolezza riguardo a certi temi?
«Sì, perché sono semplicemente meravigliose le storie di cui vengo a conoscenza quando vado in giro a presentare il film e mi confronto con il responsabile del Banco Alimentare di questa o quella città. Ti accorgi di quante cose fanno questi angeli moderni e di che storie incredibili ci sono. Storie che vanno assolutamente raccontate».
Umberto Spinazzola, un invito ad andare a vedere “Non morirò di fame”.
«In un’epoca in cui siamo veramente martellati – la pandemia, la guerra, la soglia della povertà che si sta alzando – questa è una piccola favola positiva, ma che però è in grado di farci riflettere sul valore autentico del cibo. Una favola leggermente dickensiana, per cui ci si può divertire e nello stesso tempo ci fa riflettere un po’ di più quando torniamo a casa e apriamo il frigo».