Il fragore delle armi. E del silenzio
Foto: Timon Studler
In alcune situazioni i numeri parlano chiaro; in altri casi, invece, pare non facciano che aumentare la confusione, quasi a voler “togliere l’anima” a ciò che identificano. Per questo, quando si dice che, in questo momento, ci sono cinquantasei conflitti in corso nel mondo, sembra essere necessario aggiungere almeno qualche elemento di chiarimento.
In che senso? Dove, esattamente? Con quali conseguenze? Le domande risultano essere sgomente. Solo pochi addetti e studiosi riuscirebbero probabilmente a citare più di una decina di scenari di guerra attuali. Eppure, «immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza» (Papa Francesco, “Spes non confundit”, 8).
Chiamare per nome e geolocalizzare questi contesti è possibile solo dopo avere fatto un passo indietro, cercando di leggere quali sono i contorni entro i quali l’”Indice Globale della Pace” (“Global Peace Index”) – ente di riferimento nelle organizzazioni internazionali per questo calcolo e statistica – definisce una situazione di conflitto. Si scoprirà così che il risultato deriva da un complesso intreccio di indicatori quantitativi e qualitativi, che riguardano specificità interne (incluso il numero di sfollati interni e di rifugiati, e la stabilità politica), esterne (incluso il trasferimento di armi e il finanziamento di missioni di Pace) e di “vicinato” (proprio nel senso di “buon vicinato” con i Paesi confinanti). L’intreccio degli indicatori determinerà il grado di salute della Pace e, di conseguenza, offre degli strumenti adeguati per poter leggere e decodificare il conflitto.
Una terza via non è data: o è Pace desiderata, cercata, costruita, coltivata, protetta; o, a ritornare, è il fragore delle armi. Se lo spazio mediatico generalista è attualmente pressoché saturo di cronache e immagini dai conflitti in Medio Oriente (quanti Paesi coinvolge a oggi? In che scala?) e a est dell’Europa (è davvero solo tra Russia ed Ucraina?), una prospettiva di grandangolo sulle altre regioni del mondo permetterebbe di mettere a fuoco numerosi conflitti sia nella vicina Africa, che in America Latina, che in Asia.
Gli studiosi informano che sono due gli elementi caratterizzanti dei conflitti di oggi, rispetto a quelli anche solo di pochi anni fa: le tecnologie militari, che arrivano più lontano e sono più distruttive; e una crescente competizione geopolitica, ovvero la lotta per il potere. Dunque, una lotta per il potere anche a scapito dell’Uomo, della vita e della dignità umana.
:: Caritas Italiana
“Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo”
:: Ottavo rapporto sui conflitti dimenticati
IN AFRICA
Le drammatiche conseguenze del conflitto in Sudan scoppiato ad aprile 2023 si sono riversate sui Paesi circostanti quali Ciad, Sud Sudan, Egitto, Etiopia, Repubblica Centrafricana, e Libia, terreni non noti per essere solidi contesti di pace. Oltre a ciò, vi sono però anche situazioni che perdurano da anni – si ricordi che il protrarsi delle situazioni emergenziali su ampia scala è un’altra delle caratteristiche del nostro tempo – e che fanno ancora meno notizia: si pensi alla Repubblica Democratica del Congo, al Burkina Faso, alle fragilità del Corno d’Africa.
IN ASIA
Nell’Asia centrale si tende a concentrare la già scarsa attenzione alla pesantissima situazione dell’Afghanistan, che è però circondato da ogni lato da Paesi le cui società vivono sfide diverse ma accomunate dalla presenza di tensioni esacerbanti delle vulnerabilità di ampi spicchi delle comunità che le abitano.
IN AMERICA LATINA
Qui l’instabilità politica e le lotte armate in Ecuador e Colombia passano ormai quotidianamente sottotraccia, mentre le conseguenze dell’esodo di massa dal Venezuela sembra non essere affar nostro da nessun punto di vista.
Il fragore delle armi e della violenza pare quindi condividere questo tempo con il fragore assordante del silenzio. Il silenzio dell’indifferenza, della mancanza di vicinanza, di vanificazione della solidarietà internazionale.
Nell’indire l’anno giubilare ormai alle porte, Papa Francesco esorta la comunità cristiana alla Speranza. Una speranza che sia però non astratta ma tangibile, il cui primo segno «si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra» (ibid.). Che sia dunque questo un potente appello a gesti concreti, individuali e comunitari, che partano dal desiderio di osservazione e informazione per poi portare alla condivisione, alla critica, all’azione costruttiva all’interno delle competenze e responsabilità di ognuno: «È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)» (ibid.).
Aggiornato il 06/12/24 alle ore 14:16