07 Aprile 2025

Burkina Faso, terra del dialogo

La testimonianza di don Constantin Sere, Segretario generale della Caritas del Burkina Faso (OCADES)

“Prima di tutto vorrei ringraziare Caritas Italiana per la collaborazione fraterna che esiste tra le nostre due organizzazioni da diversi decenni”. A dirlo è don Constantin Sere, Segretario generale della Caritas del Burkina Faso – l’OCADES, sigla che sta per “organizzazione cattolica per lo sviluppo e la solidarietà” – in visita in questi giorni in Italia e ospite di Caritas Italiana per fare insieme il punto sui progetti comuni.

Dal 2019 il Burkina Faso si trova in una situazione man mano più critica per la presenza di gruppi terroristici che insidiano le comunità di frontiera e hanno creato un clima di incertezza tale da provocare milioni di sfollati interni. “Da allora ogni anno abbiamo dovuto lanciare un appello d’emergenza per venire in aiuto delle persone vulnerabili, soprattutto di coloro che sono fuggiti dai loro villaggi. E ogni anno Caritas Italiana ha fatto la sua parte”, dice don Sere. Con Caritas Italiana, abbiamo sviluppato anche una formula per lavorare insieme al servizio delle comunità, a livello di base, attraverso i microprogetti (15 ogni anno), che permettono  di migliorare le condizioni di vita delle persone con progetti piccoli e di facile gestione. “Si tratta di una collaborazione fraterna, basata sul fatto che siamo organizzazioni sorelle”.

Don Constantin Sere

Don Constantin, qual è oggi la situazione del Burkina Faso?

Dal 2019 abbiamo assistito a un’accelerazione degli sfollamenti interni. In Burkina Faso c’è una situazione di insicurezza, legata al terrorismo, il che significa che uomini armati vanno nei villaggi e uccidono le persone, o impongono loro di spostarsi. Sono più di cinque anni che assistiamo a questo fenomeno su larga scala. Nel marzo 2023 più di due milioni di burkinabé hanno dovuto abbandonare i loro villaggi. Ora forse la situazione sta migliorando e questo ci fa ben sperare. Ad esempio il Governo, attraverso organizzazioni che si occupano della situazione, ha contato almeno 705 villaggi in cui le persone sono tornate per continuare a vivere con le loro famiglie.

In questo contesto, cosa sta facendo la Chiesa?

La Chiesa sta facendo essenzialmente due o tre cose. In primo luogo, la Chiesa continua a promuovere la convivenza e la coesione sociale tra le diverse religioni presenti in Burkina Faso. È quello che chiamiamo dialogo interreligioso o dialogo tra le religioni. La Chiesa ad alto livello, a livello della Conferenza episcopale del Burkina e Niger, e anche a livello decentrato nelle parrocchie, continua questo dialogo fraterno con i musulmani, con i seguaci della religione tradizionale e anche con i nostri fratelli e sorelle nella fede, che sono i cristiani di altre Chiese. Possiamo dire che è questo sforzo congiunto dei vari leader religiosi del Burkina Faso che ha fatto sì che finora ci sia stata una vera coesistenza pacifica tra le religioni.

Che presa hanno i terroristi sulla popolazione?

Sebbene i terroristi affermino di essere musulmani e dicano di lavorare per promuovere l’Islam, i leader e le comunità musulmane nel loro complesso non li stanno seguendo. E questo fatto è davvero da accogliere con favore.

Cos’altro può fare la comunità cristiana, anche attraverso la Caritas?

La Chiesa si sta organizzando per aiutare le persone che sono diventate vulnerabili a causa di questa situazione. Lo sta facendo attraverso le parrocchie, che sono i primi luoghi di accoglienza quando le popolazioni vengono violentate e devono fuggire dai loro villaggi. Queste persone si rivolgono generalmente alle parrocchie. La Chiesa si prende cura delle persone più vulnerabili, attraverso organizzazioni – come la nostra Caritas OCADES – che vengono in loro aiuto. Almeno per il 60 per cento si tratta di sfollati interni.

Sono situazioni che coinvolgono tutta l’area del Sahel…

La nostra Chiesa sta cercando infatti di guardare oltre il Burkina Faso. Attraverso lo SPI – Sahel Peace Initiative, l’iniziativa per la pace nel Sahel – che è portata avanti dalla Chiesa in Burkina Faso assieme al CRS (la Caritas degli Stati Uniti) e che è stata estesa a quattro Paesi della nostra subregione. La Chiesa sta cercando di andare oltre il Burkina e di promuovere la pace e la coesione sociale tra le diverse comunità della nostra subregione.

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Progetti necessari e ambiziosi che in questo momento sono minacciati anche dai tagli agli aiuti internazionali (USAID) decisi dall’amministrazione americana. Ma don Constantin non si perde d’animo. Cercare alleanze è il motivo del suo viaggio in Europa che lo ha visto passare da Bruxelles a Ginevra e che lo porterà nei prossimi giorni a Madrid, prima del rientro in patria.

“Vi ringrazio ancora per la vostra sollecitudine”, conclude. “Che Dio conceda che la pace possa presto tornare in Burkina Faso”.

Aggiornato il 08/04/25 alle ore 08:10