La ricchezza per pochi, trono di violenza
Lo sguardo dei profeti interroga l’economia nelle sue dinamiche concrete, ma non sempre manifeste. Il profeta Amos profetizza in Israele, durante il regno del re Geroboamo II (787–747 a.C.). Dopo le disfatte causate dai conflitti con i popoli vicini, Israele vive un periodo di ripresa: si ampliano i confini, recuperando territori perduti e il re è descritto come un salvatore (secondo libro dei Re 14,25). L’archeologia testimonia lo sviluppo economico del regno, fondato sul commercio di prodotti agricoli con il Mediterraneo orientale, ma anche sull’allevamento e il commercio di cavalli. Amministrazione statale e culto vengono riorganizzati, la popolazione aumenta.
La ripresa economica nasconde però un dramma, che si consuma nelle pieghe nascoste della società: con una denuncia tagliente e scomoda, Amos lo porta alla luce. Amos 6,1-7 descrive i retroscena di un sistema economico che offre sicurezza e tranquillità, insieme a un aumento considerevole della qualità della vita.
La conclusione dell’oracolo (Amos 6,4-7) descrive infatti sfarzosi beni di lusso, come i «letti di avorio» (Amos 6,4); cibi raffinati, perché selezionati dal meglio degli animali («vitelli cresciuti nella stalla», Amos 6,4); si beve il vino in «larghe coppe» (Amos 6,6); gli unguenti che profumano i partecipanti ai banchetti sono raffinati e pregiati («la primizia degli unguenti», Amos 6,6).
La ripresa economica nasconde un dramma, che
si consuma nelle pieghe nascoste della società:
l’aumento della qualità della vita non è per tutti
Ma questo non è per tutti. Chi sono i banchettanti? Sono le persone «eminenti della prima tra le nazioni» (Amos 6,1), coloro a cui «si rivolge la casa di Israele». Sono i notabili, coloro che hanno posizioni di rilievo per il loro status sociale, coloro a cui il popolo si rivolge in virtù delle loro responsabilità amministrative, giuridiche ed economiche. Amos li ritrae come gli «spensierati in Sion, coloro che sono sicuri sulla montagna di Samaria» (Amos 6,1). Sono persone libere da ogni preoccupazione e affanno a causa di una posizione elevata e della ricchezza che ne consegue (Amos 6,4-7).
Risorse non condivise
Per costoro, paradossalmente, il profeta intona un lamento funebre, che spiazza il lettore: pur benestanti e sicuri di sé per la loro prosperità, sono pianti come già morti. La ragione della feroce denuncia la si trova alla fine dell’oracolo ed è racchiusa in una frase lapidaria: i leader che banchettano sdraiati nel lusso, «della ferita di Giuseppe non si fanno una malattia» (Amos 6,6).
La traduzione è letterale, e rivela l’abissale distacco tra i leader e il popolo, rappresentato qui con il nome dell’antenato Giuseppe, il figlio di Giacobbe. La ferita della comunità non tocca i suoi capi, che della comunità dovrebbero prendersi cura. Questi non avvertono i contraccolpi di una malattia da cui il benessere tiene distanti, e incuranti non si occupano di lenire le ferite della comunità.
La denuncia è drammatica: il popolo è ferito e
i leader hanno a disposizione gli unguenti. Ma non
li usano usano per medicare, bensì per farsi belli
Non solo: la parola ebraica che indica l’unguento profumato usato nei banchetti, può significare anche un balsamo medicamentoso da impiegare per le ferite. La denuncia diventa così ancora più drammatica: il popolo è ferito, i suoi leader hanno a disposizione gli unguenti, ma non li usano per medicare, bensì per farsi belli. I responsabili della comunità hanno a disposizione risorse che potrebbero alleviare le sofferenze del popolo, ma non vengono condivise.
Amos vede lo scempio e (nel paragrafo 4,1) i potenti sul monte di Samaria vengono apostrofati come “vacche di Basan”, pasciute e grasse, che “opprimete” e “schiacciate” i poveri. Il profeta denuncia insomma un sistema economico e politico che consente a pochi di ingrassare e prosperare, a prezzo di una comunità schiacciata, impoverita e ferita. Proprio la ferita del popolo (Amos 6,6), procurata dall’indifferenza dei leader, è ciò che svela la vera natura del sistema economico su cui si fonda la ricchezza iniqua di pochi, definito (Amos 6,3) come “trono della violenza”. L’economia distorta a vantaggio di pochi, che ferisce i più, è l’impero della violenza, una violenza nascosta che nondimeno lacera e disgrega. Condivisione di beni e risorse, cura reciproca a partire da chi è ferito: questa, invece, è la strada perché il trono della violenza si trasformi in possibilità di vita.
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