Visionari di comunità
Ma le persone gentili quanto sanno raccontare la bellezza? Se ancora non lo avete fatto, provate ad assistere alla narrazione di Emilio Casalini sui territori che visita, le comunità che incontra. Il giornalista e conduttore dispiega gentilezza e passione per introdurci a quelle comunità che resistono, si rinnovano, riattivano l’economia del luogo. Valorizzano la bellezza che le circonda. E bellezza genera bellezza: il programma tv di Casalini, non c’è dubbio, è bello. Finora tre stagioni, 40 puntate complessive di poco più di 20 minuti ciascuna, tutte andate in onda su Raitre e ora disponibili sulla piattaforma streaming RaiPlay.
Ascolta l’intervista:
Prima parte
Seconda parte
Casalini, “Generazione bellezza”, oltre che un racconto di resistenza, di rinascita, di buone idee, può anche essere uno stimolo per altre comunità, amministrazioni locali.
«Comunità è la parola giusta. Moltissime delle storie che raccontiamo sono frutto di visioni, di sogni di singole persone che hanno realizzato un progetto con un impatto sulla comunità; molto spesso sono invece proprio storie corali, di gruppi di persone che decidono insieme di sacrificare un po’ del proprio egocentrismo per un benessere, anche personale, attraverso un’azione collettiva. Siamo in una fase in cui la separazione tra pubblico e privato è meno importante di una volta e la collaborazione, addirittura la coprogettazione, la coprogrammazione tra pubblico e privato, tra amministrazione e comunità, diventa essenziale. Anche perché il pubblico è comunità. E questo dovremmo capirlo tutti».
Per “Generazione bellezza” tu vai in cerca di visionari. Si può tracciare un loro identikit?
«Sono persone che a un certo punto della vita dicono: non sono felice. Hanno il coraggio di ammettere che la loro condizione – per gli altri anche soddisfacente, magari ben remunerata, invidiabile – non li rende felici. La felicità è essere completamente in sincronia con se stessi, con la propria anima, le proprie idee, anche i propri sogni. Così decidono di investire su questo. Hanno il coraggio di fare il primo passo quando sembra un passo nel buio e hanno la forza di resistere quando non riescono al primo colpo perché sono avanti, non ci sono riferimenti, e magari viene detto loro: guarda che è sbagliato, non va bene. Quando arrivano le sconfitte si rialzano, una, due, tre volte e continuano a camminare. Poi pian piano le cose succedono e loro ce la fanno. Le storie che raccontiamo sono di persone che ce l’hanno fatta perché hanno creduto fortemente che il loro sogno avesse valore per la propria vita».
Questi visionari faticano, dunque, per farsi ascoltare?
«Sì, tanto, perché di solito fa paura il cambiamento, è preferibile stare nel piccolo guscio, nella propria tana al calduccio. Invece i visionari sono quelli che rimuovono le tegole e ricostruiscono il tetto: vogliono sia fatto meglio. Quindi all’inizio sono scomodi, perché costringono a darsi da fare. Stimolano e quindi un po’ sconvolgono. E ci costringono a confrontarci con i nostri sogni, cosa non sempre facile da accettare. Il visionario, però, è quello che poi ci dà il segno e noi possiamo imparare da lui, non replicando quello che ha fatto, ma prendendo i suoi insegnamenti, lo stimolo e le idee e provare ad applicarle a noi stessi».
Le amministrazioni locali che si mettono in ascolto di questi visionari poi realmente facilitano certi processi, aprono spazi?
«Oggi abbiamo tanti dirigenti e amministratori locali, soprattutto nelle nuove generazioni, che hanno il coraggio di investire, di sostenere i sogni delle persone. Penso a progetti come quello realizzato a Biccari, nel foggiano, in una zona molto difficile dei monti Dauni, dove il sindaco Gianfilippo Mignogna resiste e crea con l’amministrazione una cooperativa di comunità, che è la comunità dei suoi cittadini, e affida loro la gestione di un bosco. O penso a Stefano Pisani, sindaco di Pollica, che segue le tracce di Angelo Vassallo e continua a credere nella valorizzazione del territorio. Ci sono molti amministratori indegni in Italia, ma ce ne sono altrettanti che hanno il coraggio di non fare per se stessi e per avere consensi, ma per creare le condizioni affinché i propri cittadini e i figli dei propri cittadini abbiano un futuro sul territorio in cui sono nati».
Territori che resistono, territori che rinascono. Tu lo ricordi nel corso delle puntate: «Siamo circondati di bellezza. Più di qualsiasi altro Paese al mondo». La bellezza può fare sempre anche economia?
«Economia intesa come origine semantica della parola, oikos la “casa” e nomos le “regole”: le regole di una casa comune, i beni comuni, quindi l’idea di condivisione di un benessere. La bellezza può generare nella maggior parte dei casi economia positiva, ma anche uno sfruttamento pesante dei territori in certe situazioni, per esempio con la gentrificazione, che espelle le persone dai propri territori. Oppure la bellezza può addirittura generare assuefazione, nel senso che basta poco, non bisogna darsi tanto da fare per usare quello che abbiamo. Invece per generare un’economia davvero sana e anche sostenibile, nel tempo, non solo a livello ambientale, ma sociale e che abbia un impatto culturale, serve un lavoro serio, serve molto impegno. Non basta fare un po’ di business. Dobbiamo imparare a meritarci questa eredità straordinaria».
Le attività legate al turismo possono ridare slancio all’economia di un paese, un borgo. Accogliere turisti significa offrire a chi viene la nostra identità. Come?
«Anzitutto smettendo di pensare al turista come a un portafogli vagante da svuotare il più possibile. Questa è stata la mentalità diffusa per decenni. Grazie alla comunicazione oggi se freghi qualcuno lo sanno tutti, e quindi questo non funziona più. Il turista va inteso come viaggiatore, come una persona che non porta solo soldi ma anche una propria identità, dei valori, una cultura. E quindi c’è uno scambio: lui viene da me, mi porta un contributo per la mia economia e io in cambio gli posso offrire tanto attraverso il mio territorio e la mia comunità, una parte di me. Posso condividere con lui qualcosa di bello e unico e ne usciremo tutti più arricchiti: nel portafogli ma anche nella spiritualità e in tutta la parte intellettuale, nella cultura».
Il visionario dell’Eroica, la manifestazione cicloturistica su biciclette d’epoca, apre una puntata di “Generazione bellezza” dicendo: “Questo è un territorio magnifico che non volevo si trasformasse in brutta periferia”. Con l’Eroica (foto sotto) è stata riattivata l’economia locale di Gaiole in Chianti (SI) e non solo.
«Certo. È stato tutelato un territorio, si è riscoperto il valore di cose semplici come una strada bianca, che in alcuni momenti avrebbero voluto cementificare, asfaltare perché era più comodo così. Interessante quello che è accaduto con l’Eroica: lo scenario abituale, una cosa a cui generalmente diamo poca importanza, è diventato invece la scenografia straordinaria per una corsa ciclistica che si poteva fare ovunque. Invece lì c’è stata la passione. E la memoria, con l’importante tradizione nel nostro Paese del ciclismo, sport coniugato al territorio. La ricetta dell’Eroica è questa: fai quello che ti piace e fallo bene nel posto in cui sei».
Peppino Impastato, il giovane giornalista e attivista siciliano ucciso dalla mafia nel 1978, diceva: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà». Un giornalista può esercitare un ruolo importante in tal senso. Tu cerchi di fare questo.
«Nel 2016 ho scritto un libro intitolato “Rifondata sulla bellezza. Viaggi, racconti e visioni alla ricerca dell’identità celata” e la prefazione citava una parte del film “I cento passi” su Impastato. Io credo moltissimo a quello che lui dice in questa frase. Penso di unire l’utile e l’etico, nel senso che ho trasformato questa convinzione nel mio lavoro, ho voluto che diventasse il mio lavoro. Io ero un inviato della trasmissione di Raitre “Report”, non ero perso nel mondo senza sapere cosa fare. Avevo un lavoro importante, di grande responsabilità. Ho scelto di cambiarlo, di seguire anch’io il mio sogno e di fare quello che sto facendo, raccontare la bellezza, perché è affine a ciò che sento dentro e mi consente di ricollocarmi rispetto a me stesso e al mondo che mi circonda. Oggi sento questa responsabilità ed è forte, bella, importante. Quando sei nel tuo posto accetti il peso della responsabilità perché è quello che hai voluto per te. E quindi anche il prezzo da pagare, le fatiche, … le affronti con più serenità perché le hai scelte, non sono state imposte da altri».
Come si racconta un territorio? Da dove si parte?
«Dalle persone e dalle loro storie. Provi a immedesimarti, a entrare nei loro occhi e vedere quel territorio attraverso le persone che lo vivono ogni giorno. Sicuramente c’è la componente emotiva di uno che arriva da zero e racconta quello che vede. Ed è uno scambio, un racconto intrecciato: io arrivo completamente scevro di ogni idea, di conoscenza di quel territorio, escluso lo studio fatto nei giorni precedenti, che però non mi consente di conoscerlo in profondità, e quindi conservo il mio stupore e il racconto di chi invece lo vive con i suoi occhi. “Generazione bellezza” è il tentativo di fare un racconto intrecciato di vari occhi – con dietro menti e cuori – che diventa racconto di azioni, scelte, volontà delle persone che continuano ad agire in quel territorio, che non è nato per caso, ma è figlio di scelte che altri hanno fatto e sarà frutto di scelte che oggi si fanno».
Racconti “Generazione bellezza” a chi non l’ha mai vista attraverso una delle puntate?
«Mi viene in mente la storia del teatro Andromeda (foto sotto), in Sicilia. C’è un pastore e artista, Lorenzo Reina, che ha messo pietra su pietra per trenta anni sino a costruire un teatro all’aperto sulla vetta di una montagna. È un luogo di grandissima spiritualità dove si arriva, si sta in silenzio, si guarda un portale affacciato sul paesaggio che dà ulteriore valore al paesaggio stesso. Una delle più belle cornici mai pensate dall’uomo. Quello è il sogno realizzato di una singola persona che oggi è un luogo capace di creare economia per il territorio e valore per chiunque lo frequenti. È una di quelle storie da cui sono uscito trasformato».
Possiamo aspettarci una nuova serie?
«Spero proprio di sì. Aspettiamo l’ok. Noi siamo pronti a partire, abbiamo già moltissime altre storie da raccontare. Storie di piccole realtà delle aree interne, paesi dove si resiste, ma non lamentandosi. “Generazione bellezza” sono le storie di chi ha smesso di lamentarsi e ha detto: si può fare».