I piccoli abbiano voce
Si è svolto a Roma, a fine luglio, il pre-vertice sui sistemi alimentari mondiali, e ora l’attenzione è puntata verso il vertice vero e proprio, il Food Systems Summit, che si terrà a settembre a New York. Risuonano le parole del messaggio inviato da papa Francesco ai partecipanti al consesso di Roma: «Produciamo cibo a sufficienza per tutti, ma molti restano senza il pane quotidiano. Questo “costituisce un vero scandalo”, un crimine che viola i diritti umani fondamentali».
In un mondo nel quale, anche secondo il recente rapporto Sofi (State of Food Security and Nutrition in the World) della Fao, la fame da anni non cessa di aumentare, e nel quale la pandemia ha determinato un ulteriore aggravamento delle condizioni delle persone e delle comunità più fragili del pianeta, è senz’altro un’ottima notizia che si rifletta sul modo in cui l’umanità può produrre il cibo necessario alla vita dignitosa di ogni persona. È necessario però che questa riflessione sia condotta nelle sedi proprie, ascoltando i contadini, i consumatori, le comunità locali, i popoli indigeni. Il centro devono essere i diritti e la dignità delle persone, nella prospettiva di percorsi democratici, inclusivi e trasparenti, che possano portare a soluzioni giuste ed efficaci.
In casi come questo, il metodo è sostanza. Ed è importante che non si facciano passi nella direzione sbagliata, introducendo ulteriori fattori di rischio nel sistema globale di governo delle questioni legate al cibo. Il pericolo del vertice sui sistemi alimentari è infatti di affidare la soluzione dei problemi della “fame nel mondo” agli stessi attori e agli stessi modelli produttivi che si sono rivelati e si stanno rivelando i maggiori ostacoli alla sua soluzione.
Prospettiva agro-ecologica, l’unica possibile
La piccola agricoltura su scala familiare e territoriale genera infatti più del 70% del cibo prodotto e consumato al mondo (come la Fao ha più volte affermato), e la necessità di salvaguardare la nostra “casa comune” rende la prospettiva agro-ecologica rispettosa dell’ambiente l’unico orizzonte possibile per affrontare la questione. L’ingombrante presenza del World Economic Forum di Davos tra gli sponsor principali del vertice pone invece l’agroindustria al centro dell’evento, e con essa un modello globalizzato ipertecnico e iperproduttivista, il cui fallimento e i cui rischi sono stati riconosciuti in molte occasioni.
L’organizzazione del Forum, in particolare, è stato affidata a figure controverse, tra cui Agnes Kalibata, presidente dell’Alleanza per la rivoluzione verde in Africa (Agra), creata dalla Fondazione Rockefeller e dalla Fondazione Bill & Melinda Gates, da anni fortemente criticata per l’apertura del continente alle colture transgeniche e all’agricoltura intensiva.
Nonostante la professione pubblica di inclusività, l’organizzazione del vertice (e l’identificazione delle sue priorità tematiche) ha seguito strade tortuose e poco trasparenti, mettendo da parte le istituzioni dell’Onu, così come le legittime piattaforme delle organizzazioni della società civile organizzata e dei popoli indigeni. Come hanno sottolineato molte autorevoli voci a livello globale, il vertice propone un modello di governance che non tiene conto di ruoli e responsabilità specifiche dei diversi attori (governi, imprese, altri attori del settore privato, grandi fondazioni filantropiche, scienziati, ong e movimenti sociali), ignorando le enormi asimmetrie di potere e risorse che esistono tra gli stessi attori e gli evidenti conflitti di interesse: tutto questo rappresenta una minaccia molto grave per un percorso che punti alla costruzione e al rafforzamento di sistemi alimentari democratici, rispettosi delle persone e dell’ambiente.
Indebolendo il ruolo degli stessi stati membri e facilitando un’indebita influenza degli interessi corporativi, si propone una lettura estremamente limitativa del contributo della scienza al miglioramento dei sistemi alimentari. E questo rischio non può non richiamare le parole di papa Francesco sui pericoli del “paradigma tecno-economico” (Laudato si’, 53), che esclude le voci delle comunità e dei poveri. Proprio considerando le questioni sopra riassunte, anche il Gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili (Ipes-Food), ha recentemente deciso di uscire dal tavolo di lavoro che sta preparando il vertice, e i suoi membri hanno rinunciato a tutti i loro incarichi nell’organizzazione: si tratta di figure note a livello internazionale, che hanno collaborato a molte iniziative delle Nazioni Unite, e la loro presa di posizione rappresenta un grido d’allarme assai significativo.
Denuncia e dialogo
Rivolgendosi ai partecipanti al pre-vertice di Roma, papa Francesco ha espresso con chiarezza il rischio delle possibili derive. Nel riaffermare la necessità di rimettere al centro la dignità della persona umana, e di adottare politiche coraggiose per il settore rurale e l’agricoltura, che possano realmente contribuire a sradicare le ingiustizie, il Papa ha aggiunto: «Siamo consapevoli che interessi economici individuali, chiusi e conflittuali, ma potenti, ci impediscono di progettare un sistema alimentare che risponda ai valori del Bene Comune, alla solidarietà e alla “cultura dell’incontro”. Se vogliamo mantenere un multilateralismo fecondo e un sistema alimentare basato sulla responsabilità, la giustizia, la pace e l’unità della famiglia umana sono fondamentali. La crisi che stiamo affrontando è in realtà un’opportunità unica per impegnarsi in dialoghi autentici, audaci e coraggiosi, affrontando le radici del nostro sistema alimentare ingiusto».
La piccola agricoltura genera più del 70% del cibo consumato nel mondo: va messa al centro di sistemi alimentari democratici e rispettosi dell’ambiente
Il dialogo va dunque mantenuto, ma nella “parresia della denuncia”, che papa Francesco ha indicato come via maestra per l’impegno della Caritas, in occasione del 50° di Caritas Italiana. Anche a fronte di un evento che beneficia di una forte risonanza mediatica e istituzionale, occorre mantenere alta l’attenzione agli elementi di criticità che esso presenta. In positivo, occorre invece rinforzare e valorizzare quanto già esiste, come l’azione del Comitato delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare mondiale (Cfs), che è la principale arena intergovernativa inclusiva per la definizione delle politiche internazionali sul cibo, fondata su un approccio basato sui diritti umani, e improntata a criteri di vera inclusività, in base ai quali tutti possono far sentire la loro voce.
Ad ogni modo, una larga maggioranza delle organizzazioni della società civile e dei popoli indigeni ha deciso di disertare il vertice, promuovendo una mobilitazione globale e iniziative alternative, volte a rimettere le persone al centro del dibattito su questi temi, e a evitare il rischio di “cattura corporativa” del dibattito sui sistemi alimentari. Più di 300 gruppi e movimenti della società civile, accademici e popoli indigeni, tra cui La Via Campesina, hanno organizzato un contro-vertice, nel quale, con lo slogan “Non nel nostro nome!”, hanno dichiarato di non voler essere rappresentati in un vertice dove siedono per la maggior parte rappresentanti delle multinazionali e dell’agribusiness. È necessario l’impegno e l’azione di tutti per promuovere un diverso modo di affrontare le sfide del futuro, facendo proprie le parole di papa Francesco: «Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni gruppi. Così acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo complementare l’azione dello Stato». (Fratelli tutti, 175)
Aggiornato il 05/10/21 alle ore 12:38