Il debito non nasce dal Covid
Con l’incontro svoltosi a Matera lo scorso 29-30 giugno, i temi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile hanno trovato per la prima volta una dignità “ministeriale” nel quadro del G20. Si tratta di un consesso sempre più rilevante a livello globale, che riunisce i “pesi massimi” dell’economia globale, nonostante una relativa eterogeneità di interessi e di posizioni (al contrario di quanto avviene con il G7, il cui vertice si è concluso recentemente in Galles). In entrambi i casi si tratta comunque di “club autoconvocati”, che non hanno alcuna legittimazione per decidere in nome e per conto dell’umanità intera. Per questa ragione è importante che il G20 diventi un’area di “maturazione e consenso” per iniziative da assumere all’interno delle sedi proprie, multilaterali e democratiche (con tutti i loro difetti).
L’agenda del G20 è tradizionalmente basata sui temi finanziari, che hanno un peso importante anche all’interno del lavoro specificamente dedicato allo sviluppo, in particolare in tempo di pandemia: proprio a questi temi è stato dedicato l’incontro dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali, tenutosi a Venezia tra l’8 e l’11 luglio. E proprio in riferimento all’incontro di Venezia molte organizzazioni e movimenti hanno costruito un momento di mobilitazione e di forte critica.
Un quinto di quanto sarebbe necessario
La finanza pubblica di tutti i paesi è stata infatti fortemente sollecitata, negli ultimi mesi, a fare fronte a necessità straordinarie, proprio mentre le entrate fiscali stavano diminuendo drasticamente, a causa del rallentamento dell’attività economica in tutto il pianeta. È proprio la disponibilità di risorse per far fronte alle spese correnti l’esigenza fondamentale di questo momento storico, particolarmente per i paesi del Sud globale, che non hanno “reti di salvataggio” come – nel nostro caso – l’Europa. Ed è per questo motivo che la crisi di liquidità così grave e la contrazione di quello che tecnicamente si chiama lo “spazio fiscale” rendono poco proponibili ipotesi di conversione del debito che pure in altri momenti storici hanno avuto un loro spazio.
C’è dunque una prima dimensione di crisi di liquidità, cui bisogna dare una risposta urgente, per permettere ai diversi paesi di assicurare una risposta ai bisogni del momento. Alcune risposte sono state offerte anche da parte del G20, con l’Iniziativa di sospensione del pagamento del debito (Dssi – Debt Service Suspension Initiative), o con l’appoggio alla proposta di mobilitare 650 miliardi di dollari di Diritti speciali di prelievo da parte del Fondo monetario internazionale. Si tratta di passi utili, ma del tutto insufficienti rispetto alle necessità attuali: il Dssi non è altro che il rinvio nel tempo di pagamenti comunque dovuti, a cui peraltro non ha aderito la platea di creditori privati, che al momento attuale rappresentano la parte più importante, in termini quantitativi, del debito in sofferenza (con il risultato che una grande parte dei – temporanei – risparmi sul servizio del debito contratto verso stati o istituzioni pubbliche viene utilizzata proprio per soddisfare i creditori privati!). E come ha dimostrato Eurodad, il network della società civile europea su debito e sviluppo, la proposta relativa ai Dsp non arriva che a circa un quinto di quanto sarebbe necessario per imprimere una vera svolta.
Scenario invariato, vent’anni dopo
Ma il problema più importante discende dal fatto che la crisi del debito non è certo arrivata con il Covid-19. Già prima della pandemia erano moltissimi i paesi alle soglie di una crisi debitoria, cioè di una vera e propria crisi di solvibilità.
Ma come affrontare in modo sistematico i frequenti casi di sovraindebitamento? Non esiste attualmente alcun meccanismo di condiviso a livello multilaterale, ed è questa la richiesta più urgente al momento. Anche in questo caso, il Common Framework proposto in ambito G20 non sembra offrire una risposta adeguata.
E infine: molti di coloro che leggono queste righe hanno ben presente la straordinaria mobilitazione che all’inizio degli anni 2000 condusse all’iniziativa Hipc, e alla cancellazione di una parte consistente del debito dei paesi poveri, in uno sforzo che vide anche la Chiesa italiana (e la Caritas) in primissima fila. Si trattò di una iniziativa a quel tempo necessaria ed efficace; ma su cui la crisi attuale sollecita una domanda: come mai a 20 anni da quella iniziativa globale straordinaria ci ritroviamo ancora una volta sulle soglie di una crisi? Occorre quindi porsi un problema: cosa possiamo dire di un sistema economico finanziario globale, i cui meccanismi portano nel giro di pochi anni a ricreare livelli di indebitamento insostenibile? Si tratta di meccanismi finanziari, commerciali, fiscali, di salvaguardia della proprietà intellettuale, che convergono nel mantenere il Sud globale in una condizione di debolezza rispetto ai grandi processi di cambiamento che avvengono sul pianeta.
Già prima della pandemia erano moltissimi i paesi
alle soglie di una crisi debitoria, ovvero
di una vera e propria crisi di solvibilità
Si tratta di percorsi complessi su cui Caritas Italiana ha riflettuto di recente con il dossier Per una finanza a servizio dell’umanità. Mettere la vita davanti al debito. Ma sui meccanismi che causano l’ingiustizia, occorre notare anche le recenti parole di papa Francesco, che ha posto la questione in modo forte nel recente incontro con Caritas Italiana, in occasione del 50° anniversario dell’organismo pastorale, quando ha argomentato la necessità di ripartire dal mandato evangelico per interpretare quanto avviene nel nostro tempo. «La via del Vangelo – ha detto Francesco – ci indica che Gesù è presente in ogni povero. Ci fa bene ricordarlo, per liberarci dalla tentazione, sempre ricorrente, dell’autoreferenzialità ecclesiastica ed essere una Chiesa della tenerezza e della vicinanza, dove i poveri sono beati, dove la missione è al centro, dove la gioia nasce dal servizio. Ricordiamo che lo stile di Dio è lo stile della prossimità, della compassione e della tenerezza. Questo è lo stile di Dio. Ci sono due mappe evangeliche che aiutano a non smarrirci nel cammino: le Beatitudini (Mt 5,3-12) e Matteo 25 (vv. 31-46). Nelle Beatitudini la condizione dei poveri si riveste di speranza e la loro consolazione diventa realtà, mentre le parole del Giudizio finale (il protocollo sul quale saremo giudicati) ci fanno trovare Gesù presente nei poveri di ogni tempo. E dalle forti espressioni di giudizio del Signore ricaviamo anche l’invito alla parresia della denuncia. Essa non è mai polemica contro qualcuno, ma profezia per tutti: è proclamare la dignità umana quando è calpestata, è far udire il grido soffocato dei poveri, è dare voce a chi non ne ha».
Sul debito, sulla finanza, sulle tensioni e sulle contraddizioni che attraversano il sistema globale, temi rispetto ai quali – anche la storia recente lo insegna – sono sempre i più fragili a pagare il prezzo più alto, questa parresia della denuncia è particolarmente urgente e necessaria.
Aggiornato il 04/10/21 alle ore 10:33