Latte, risorsa comunitaria
IN KENYA, A KIAMBU, il latte può essere un vero tesoro. Qualcuno lo ha definito addirittura “oro bianco”. Non solo per il suo apporto nutrizionale fondamentale, ma soprattutto per le opportunità economiche che può rappresentare per gli allevatori e le loro famiglie. Dal 2018 al 2021 in Kenya, affiancando la Caritas di Nairobi per il PROGETTO MILKY, insieme ad altri partner italiani e con il sostegno economico dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo e in collaborazione con il Celim MI, abbiamo lavorato con 2.000 piccoli allevatori per garantire una filiera del latte sostenibile. Il problema di fondo era poter garantire un equo riconoscimento ai piccoli allevatori dalla vendita del latte prodotto dalle loro mucche, una o due al massimo all’inizio. E un adeguato potere di mercato, senza finire nelle mani degli agenti che lavorano per le grandi aziende di distribuzione, senza specifiche tutele per i piccoli produttori. Per arrivare a ciò era necessario investire anche in un miglioramento della qualità del latte, nella formazione tecnica per gli allevatori e riuscire a creare una rete per la raccolta e la pastorizzazione.
Questo progetto, concluso proprio nel periodo della pandemia, è stato un lungo viaggio al quale hanno preso parte in tanti dal Kenya e dall’Italia, con competenze, capacità e ritmi diversi. Già a fine luglio, pur presi dalle ultime frenetiche attività per chiudere nei tempi previsti e dalla burocrazia che sembrava non finire mai, guardando indietro al percorso fatto, insieme ai colleghi ci sentivamo quasi increduli. Rileggere insieme questa esperienza attraverso la testimonianza dei contadini di Kiambu ci ha aiutato davvero a capire che Milky non è stato solo un “progetto”, ma un vero e proprio percorso comunitario.
FRANCIS CI HA RACCONTATO DELLA SUA FAMIGLIA, delle sue due figlie. Oggi, pur continuando ad avere una sola mucca nella propria fattoria può contare su una produzione di qualità e quantità che gli garantiscono un guadagno equo dalla vendita del latte, con un pagamento assicurato ad ogni mensilità. Non diventerà ricco, ma questo permette a lui e alla moglie di garantire un’istruzione sicura alle due figlie, pagando tutte le rette scolastiche, e sperando possano davvero seguire le proprie aspirazioni future. «È importante – dice – sapere di poter vendere il latte e di essere pagato a fine mese. Prima non era così. Non solo venivamo pagati poco, alle volte prendevano il nostro latte senza pagarci. Oggi lavoriamo insieme, con i vicini. Condividiamo un percorso che ci ha fatto crescere, partecipiamo insieme al cambiamento».
NJERI, MADRE DI SEI FIGLI, non solo ha partecipato al progetto, ma tantissime volte ci ha aperto le porte della sua casa, si è presa cura di noi cucinando il miglior mukimo (un piatto tipico preparato con patate schiacciate, foglie di zucca e fagioli o mais) della zona. Oggi, dopo tre anni, le sue mucche sono diventate dieci e come gli altri riesce a garantirsi un guadagno adeguato dalla vendita del latte. Per lei, poi, il vero cambiamento è arrivato grazie all’impianto di bio-gas, una delle componenti pilota dello stesso progetto per garantire una produzione agricola totalmente autosostenibile e con energia pulita. «Non pascolo le mucche solo per il latte, ma anche per ottenere il fertilizzante naturale da loro. Nel mio giardino è stata costruita una cisterna per raccoglierlo che, collegata a un sistema sotterraneo, mi permette di trasformarlo in gas, direttamente nella mia cucina. Così, veramente la mia vita è cambiata. Oggi non devo più alzarmi prima dell’alba per andare a cercare la legna da ardere, non devo più tagliare alberi. Allo stesso tempo posso cucinare sui fornelli più in fretta, utilizzando energia pulita, senza intossicarmi con i fumi della legna. Ora non tossisco più e anche la mia pelle è più bella. Dopo aver imparato a riutilizzare il fertilizzante naturale dalle mie mucche nel giardino, anche la produzione agricola della mia piccola fattoria è migliorata. Abbiamo più pomodori, cipolle e altri ortaggi. Posso cucinare mukimo per tutti. Ho colto l’opportunità di fare un percorso che non solo ha migliorato la mia fattoria, ma mi ha reso parte di questa comunità, sentendomi meno sola».
Come racconta Michael, il vicedirettore di Caritas Nairobi, questo percorso è partito tanti anni fa conoscendo i contadini della zona, ascoltandoli e cercando vie diverse e partecipate per un cambiamento. «Oggi possiamo contare su una rete solida e solidale. Garantire una filiera sostenibile significa anche partire dal produttore per arrivare al consumatore, con un’adeguata distribuzione delle risorse e un bassissimo impatto ambientale. Dunque, è importante anche garantire un processo di trasformazione del latte secondo gli standard nazionali: a questo servirà l’unità di trasformazione appena costruita. Oggi il nostro latte arriva nelle baraccopoli ai distributori automatici. Non ci sono più confezioni di plastica o tetrapak – e quindi diminuisce la produzione dei rifiuti – e si può acquistare la quantità di latte che davvero serve o ci si può permettere senza sprechi, perché non tutti hanno un frigorifero. Il prezzo finale per il consumatore non cambia. Abbattendo le voci di costo per il confezionamento davvero cambia quello pagato ai produttori per litro: più alto, più equo, per garantire un introito stabile e restituire dignità al lavoro».
L’impatto economico è stato importante. Seppur con alcune oscillazioni e nonostante lo scoppio della pandemia, da aprile 2020 il prezzo pagato per litro ai beneficiari del progetto si è stabilizzato, e si calcola che l’introito annuale di ogni beneficiario del MilKy sia passato in media da circa 87.600 KES (2018) a 147.169 KES (2021). Altresì, c’è un’evidenza che vale la pena sottolineare. La stabilità del prezzo e il pagamento mensile trasferito ai beneficiari sono stati estremamente importanti nel garantire un introito fisso dalla vendita del latte che prima non c’era, ma soprattutto, oltre a essere tra i prezzi più alti pagati nella zona, ha avuto un effetto inaspettato sul mercato portando gli altri concorrenti ad aumentare a loro volta il prezzo pagato agli altri allevatori non coinvolti nel progetto. Oltretutto, per poter garantire un servizio adeguato e mantenere gli standard di progetto raggiunti, si è palesata la necessità di un incremento dello staff impiegato nella raccolta del latte e inizialmente non previsto, ma sul quale il partner locale ha prontamente investito. Ad oggi 11 giovani al di sotto di 35 anni, provenienti dalle comunità locali, hanno trovato lavoro come autisti, addetti alla pulizia e magazzinieri.
Per quanto riguarda l’economia locale è importante fare altre considerazioni sui punti vendita nelle baraccopoli. Si tratta di piccole imprese locali che gestiscono anche solo un piccolo negozio, scelti sia per la volontà di portare latte di qualità in zone periferiche e marginali, sia per la determinazione nel supportare e investire in piccolissime realtà imprenditoriali in aree particolarmente vulnerabili. All’inizio è stato difficile mantenere i punti vendita originariamente coinvolti, per la loro difficoltà nel sostenere le oscillazioni del mercato e per la loro inadempienza negli impegni sottoscritti. In risposta a questa difficoltà imprevista, Caritas Nairobi si è impegnata con uno sforzo ulteriore per affiancare alla compravendita del latte un servizio di supporto all’impresa, facilitando l’accesso al microcredito anche per queste categorie, replicando una delle attività previste inizialmente solo per contadini e allevatori.
Infine, non bisogna dimenticare che la pandemia di Covid-19 ha sparigliato le carte in tavola, dal momento che tutte le attività pianificate dalla fine del secondo anno in poi hanno dovuto fare i conti anche con le necessarie misure contenitive varate dal Governo locale. Temporaneamente c’è stato un impatto negativo sulle attività, soprattutto in relazione alla difficoltà di conciliare la raccolta di latte su un territorio molto vasto con i blocchi ai trasporti e alla circolazione imposti. Ciò ha provocato dei ritardi nelle operazioni e in alcuni casi si è avuta una perdita del latte raccolto, che però non si sono riflesse sui beneficiari perché assorbite dal partner locale.
Un ulteriore impatto della pandemia si è registrato in relazione all’incertezza economica iniziale e il ridimensionamento della capacità lavorativa di alcune unità di trasformazione del latte già operative nel progetto. La buona conoscenza del territorio da parte del partner locale e la sua capacità di contrattazione ha garantito nuove collaborazioni in tempi brevi, limitando le perdite iniziali. Inoltre, la fiducia guadagnata in tanti anni di presenza sul territorio lavorando con contadini e allevatori, ha fatto sì che anche i beneficiari del progetto si siano impegnati oltre ogni aspettativa per rispettare e garantire il raggiungimento di tutti gli obiettivi concordati. In quello che è stato davvero un percorso condiviso (fine).
Aggiornato il 12/10/22 alle ore 12:34