Popolo Ati, finalmente a casa
«Da 10 anni stiamo cercando di aiutare il gruppo di indigeni che vive qui a Kalibo, vicino al ponte tra la città e Numancia, su un terreno in affitto da cui sono stati sfrattati da tempo, con vicini che li sopportano a malapena. Forse, nonostante il Covid-19, siamo finalmente sulla buona strada!».
Padre Ulysses Dalida, direttore della Caritas di Kalibo – isola di Panay, regione centrale delle Visayas, provincia di Aklan, importante arcipelago centrale delle Filippine – fa professione di ottimismo. Con il supporto di Caritas Italiana (che nell’area ha cominciato a operare subito dopo il disastroso passaggio di Haiyan, il tifone più forte mai registrato sulla terraferma, scatenatosi sull’arcipelago nel novembre 2013, e continua a sostenere nelle Visayas una decina di progetti di sviluppo scaturiti dalla ricostruzione), padre Dalida ha fatto della vicinanza alle comunità indigene una profonda ragione di impegno: «L’aiuto alle popolazione indigene locali sin dai primi giorni dopo il tifone è stato una delle nostre priorità: abbiamo portato aiuti di emergenza sulle montagne interne e ricostruito case in zone difficilmente raggiungibili. Ma con questo gruppo di indigeni Ati, stanziatosi nei sobborghi della città da una trentina d’anni, è stato tutto molto più difficile: c’era sempre qualcosa che ci bloccava o si metteva in mezzo. Ma ora dovremmo essere in grado di costruire 26 case nuove per tutte le famiglie del gruppo e fornire loro un piccolo orto familiare, che permetterà di coltivare per sé e guadagnare qualcosa dalle vendite al mercato».
Primi ad arrivare, privati della terra
Gli indigeni Ati, chiamati anche Negritos, sono discendenti diretti delle prime tribù aborigene che dal Borneo navigarono fino all’isola di Panay, in un momento storico imprecisato, intorno a 20 mila anni fa. Gli Ati furono i primi a popolare l’arcipelago; ciò che li caratterizzava, e li contraddistingue ancora oggi rispetto alla popolazione maggioritaria filippina, è il loro aspetto, che, nonostante le successive colonizzazioni, è rimasto in gran parte invariato. «Corporatura corta e snella; capelli crespi, che possono essere molto folti nel caso delle donne; pelle color cioccolato scuro, quasi nera; naso minuscolo ma ampio; occhi rotondi e scuri»: così vengono descritti dalla Commissione nazionale per la cultura e le arti filippina. La popolazione indigena dell’isola di Panay è sempre stata negletta, negli ultimi decenni: oggi si trovano a non avere alcun diritto sulla terra sulla quale i loro antenati vivevano già nel 12° secolo.
Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, alcune famiglie della comunità Ati si sono stabilite ai confini della città di Kalibo. Fino a quel momento avevano vissuto ai margini della civiltà, radunati in piccoli insediamenti, trovando riparo e nutrimento nei grandi spazi verdi, rimasti inabitati, attorno alle montagne. La conoscenza delle erbe mediche e l’abilità nella caccia e nella pesca avevano permesso loro, sino a quel momento, di continuare a sopravvivere. Con il passare degli anni, tuttavia, i terreni dai quali dipendeva la loro vita avevano iniziato a essere venduti, e così loro da nomadi si erano ritrovati a diventare stanziali.
Gli indigeni dell’isola di Panay si trovano, oggi,
a non avere alcun diritto sulla terra
sulla quale i loro antenati vivevano già nel 12° secolo
A Kalibo per gli Ati la vita è una sfida quotidiana tra fame e miseria. Le donne realizzano prodotti artigianali, dedicandovi anche 10 ore al giorno, salvo poi venderli a meno di un euro al pezzo. Gli uomini escono presto la mattina in cerca di impieghi saltuari, mal pagati e molto stancanti. I ragazzi e i piccoli abbandonano sovente la scuola, trascorrendo le giornate in aiuto ai genitori, la maggior parte elemosinando o vendendo in strada amuleti contro il malocchio.
La pelle impedisce l’integrazione
Le difficoltà economiche, unite alla mancata attuazione di politiche di inclusione sociale, determinano profonde conseguenze di tipo sociale. A cominciare dalle condizioni di vita. Sul versante igienico-sanitario, spesso gli Ati vivono nell’indigenza totale e senza acqua potabile, in un ambiente malsano e pieno di rifiuti, che favorisce il diffondersi di epidemie e infezioni, specie tra i più giovani. Nel villaggio di Bulwang, poco distante da Kalibo, per esempio, vivono 26 famiglie per un totale di 130 persone, di cui ben 73 bambini. Il reddito medio mensile delle famiglie ammonta a circa 8.400 pesos (140 euro). Il livello di scolarità è molto basso e molti sono i minori che non frequentano o non hanno frequentato la scuola in età scolare; tra le motivazioni c’é la mancanza di soldi per far fronte alle spese scolastiche (cancelleria, trasporto), ma conta molto anche la discriminazione che i bimbi dei popoli indigeni subiscono. La terra sulla quale vivono gli Ati di Bulwang risulta soggetta ad alluvioni, naturalmente soprattutto durante la stagione delle piogge.
A tutto ciò si aggiungono gli episodi di razzismo e discriminazione che sono all’ordine del giorno e colpiscono gli Ati sin dai primi anni di età, sia a Kalibo che in altre aree della Filippine. I giovani volontari di Caritas Italiana, attivi a Kalibo per un anno nel progetto dei Corpi civili di pace, confermano che «molti degli Ati abbandonano la scuola per il bullismo al quale sono sottoposti dagli altri bambini, riflesso di un retaggio culturale che impedisce l’integrazione tra persone con un colore della pelle diverso. Altri sono costretti ad abbandonare la scuola per ragioni economiche, non avendo abbastanza denaro per comprare neppure le penne e i quaderni e alcun sostegno dalle istituzioni locali. Essere Ati, a Kalibo, significa essenzialmente essere invisibili. Per strada, nessuno presta attenzione ai volti denutriti dei bambini o ai segni delle infezioni sulla loro pelle; nessuno che si preoccupi anche soltanto di lasciar trasparire un gesto di solidarietà».
Con il riso cresce il capitale
È, insomma, una situazione al limite, con la quale la Caritas di Kalibo si confronta dal 2012. Direttore e operatori hanno avviato attività di sostegno economico per sostenere la quotidianità delle famiglie, e consentire loro di mettere in tavola per 3 volte al giorno almeno il riso (piatto nazionale) con qualcosa intorno. Ma sono state condotte anche piccole azioni di supporto all’imprenditorialità individuale.
Il rapporto, negli anni, si è evoluto fino a creare un solido legame di fiducia reciproca, che ha portato alla creazione di due progetti di sviluppo con la comunità Ati di Kalibo e dei villaggi, seguendo un modello di sviluppo comunitario usato anche in altre zone delle Filippine. Dopo aver analizzato la conformazione dell’attuale villaggio, si è anzitutto creato un piano di evacuazione, da utilizzare nel caso delle frequenti emergenze dovute a eventi meteorologici estremi; con un lavoro comunitario volontario sono quindi state sistemate le zone più a rischio. Si è poi continuato con l’analisi onesta e aperta dei punti di forza e di debolezza della comunità, e su questi si sono costruiti gli interventi.
«A Bulwang abbiamo per esempio capito che la sicurezza alimentare era uno dei problemi centrali – racconta May, operatrice Caritas –. Così abbiamo usato un pezzo di terra per fare un orto comunitario, dove abbiamo condotto corsi di agricoltura biologica. Sono stati introdotti nuove tecniche e l’utilizzo di materiale di riciclo, avviando un programma di gestione dei rifiuti del villaggio, prima confusamente lasciati in giro. Corsi sono stati fatti anche sul miglioramento della produzione di sapone naturale da erbe e candele, aumentando il numero di prodotti che gli Ati possono offrire al mercato. Ciò ha permesso a molti di avere piccoli guadagni, che abbiamo suggerito di mettere in comune, creando un piccolo Gruppo di risparmio, ove ogni settimana vengono messi 25-30 pesos (50 centesimi di euro), da cui i componenti possono ottenere prestiti in maniera agevolata, distribuendo al gruppo i piccoli interessi pagati».
Nel villaggio è stata avviata una rivendita di riso,
gestita da Raychille: «Anche durante la pandemia
abbiamo continuato a lavorare. Nessuno adesso dice
che gli Ati non sanno organizzare e gestire le cose!»
Su proposta della comunità, negli ultimi anni è stata avviata anche una piccola rivendita di riso del villaggio, con il sistema del Gruppo di risparmio. «Abbiamo messo insieme il capitale iniziale per comprare un po’ di sacchi di riso da 25 chili, vendendo il riso nel villaggio al prezzo di mercato: la gente è comunque contenta di comprare il riso nel villaggio, senza portarlo ogni giorno dalla città – spiega Raychille, che gestisce la piccola rivendita –. Continuando a comprare e rivendere riso, abbiamo moltiplicato il capitale del Gruppo di risparmio, portandolo in due anni da 2.140 a 12.621 euro, ovvero circa 1.500 euro per ogni socio. Anche durante la pandemia da Covid-19 abbiamo continuato a servire il villaggio e i vicini: avevano da mangiare senza dover andare a Kalibo, con il rischio di ammalarsi. Nessuno adesso dice che gli Ati non sanno organizzare e gestire le cose!».
Gli operatori conducono anche molte sessioni di formazione sui diritti della comunità in quanto indigena: la possibilità di creare un’associazione riconosciuta, di avanzare richieste sulle terre ancestrali, di avere finanziamenti dedicati, di iscriversi ai servizi sociali comunali per avere fornitura di riso per i più poveri, e altre questioni. «L’obiettivo sotteso a tutto ciò è dare agli Ati le stesse opportunità disponibili al resto dei filippini. E questo sarà possibile – conclude l’operatrice May – quando gli Ati diventeranno consapevoli di se stessi e delle loro capacità, quando conosceranno bene i loro diritti e sapranno esercitarli, quando saranno rispettati come cittadini uguali agli altri».
Sfavoriti sotto ogni aspetto
La presenza di popoli riconosciuti come “indigeni” nelle Filippine attuali, dove sono anche definiti “piccoli popoli”, è il frutto della storia e di vari processi socio-demografici. Le Filippine sono un paese etnograficamente molto vario, dove vivono tra i 14 e i 17 milioni di appartenenti a popoli indigeni (tra il 15 e il 18% della popolazione), raggruppati in circa 110 gruppi etno-linguistici. Queste comunità vivono prevalentemente nell’isola meridionale di Mindanao (61%) e nell’isola settentrionale di Luzon (soprattutto nella regione amministrativa della Cordillera, 33%), mentre il restante 6% abita la zona delle Visayas, tra cui appunto l’isola di Panay, di cui fanno parte le provincie di Capiz ed Aklan, ove risiedono in particolare i Panay Bukidnon – Tumandok e vari Ati.
Le situazioni di difficoltà vissute dagli indigeni a Kalibo sono comuni anche ai popoli sparsi nel resto del paese. Le popolazioni indigene delle Filippine sono tra i gruppi più poveri e marginalizzati del paese. I domini ancestrali sono spesso situati in aree remote e montane, difficilmente accessibili. Una ricerca del 2017, condotta da Reyes, Celia e altri, conferma le profonde diseguaglianze nella distribuzione delle risorse nelle Filippine, e sottolinea come questo accada in particolare per alcuni gruppi sociali, tra cui appunto gli indigeni. Riguardo alle “5 dimensioni di disuguaglianza dei gruppi etnici filippini”, analizzate dalla ricerca (Schooling: quanti anni di scuola ha fatto un 25 enne; Literacy: indicatore della capacità di lettura e scrittura di un bambino di 10 anni; Safe water: indicatore dell’accesso all’acqua potabile in casa o nelle vicinanze; Sanitation: indicatore dell’accesso a un gabinetto; Electricity: indicatore del possesso di elettricità in casa), emerge che per ognuna di esse gli indigeni abbiano risultati inferiori rispetto a tutti gli altri gruppi. È vero che la ricerca mostra un miglioramento della situazione tra 2000 e 2010, ma la distanza tra indigeni e resto della popolazione rimane intatta. E con la pandemia da Covid-19 la situazione è anche peggiorata…
Lunga battaglia, ora il progetto lievita
Nel 2016, la Caritas di Kalibo, su richiesta della comunità Ati insediata ai margini della città e da anni sotto sfratto, ha sviluppato un’idea. «Ci siamo detti: perché non compriamo un pezzo di terra e costruiamo noi le case per gli Ati? – riassume padre Ulysses, direttore Caritas –. Caritas Italiana ci ha aiutato e così abbiamo comprato un terreno al confine tra Tigayon e Aliputos, 10 minuti da Kalibo. Lì c’è spazio per 26 case e per dare a ciascun nucleo un pezzo di terra da coltivare».
Si stanno per progettare e realizzare 26 case per
altrettante famiglie, attorniate da un campo coltivabile:
strumento per una vita dignitosa,
occasione per mantenere viva la propria cultura
Mentre si progettava la relocation, però, un lontano parente del venditore ha avanzato diritti, sostenendo che non erano stati rispettati antichi patti e citando in giudizio il precedente proprietario. Lavori fermi per un anno, dopo di che il giudice ha deciso che la compravendita fatta aveva rispettato la legge. Ma il parente ha occupato la terra in maniera illegittima, recintando la proprietà e costruendo una capanna dove si è messo ad abitare, non lasciando mai la terra, con l’obiettivo dichiarato di chiedere un pagamento ulteriore ai nuovi proprietari, ovvero Caritas Kalibo.
La questione si è protratta a lungo, arrivando a coinvolgere la Commissione nazionale per gli indigeni. Anche la polizia locale ha condiviso la causa degli Ati, fino a che una nuova decisione del tribunale ha costretto l’illegittimo occupante ad andarsene. Nel frattempo il governo locale ha preso a cuore la vicenda, sostenendo fattivamente la realizzazione del progetto e delle infrastrutture per servire l’insediamento. Stanno per sorgere, insomma, 26 casette a 2 piani, con un campo intorno coltivabile, che saranno registrate al catasto a nome dell’associazione comunitaria creata appositamente. «Le famiglie potranno vivere degnamente, avendo anche la possibilità (nella sala tradizionale della comunità) di mantenere viva la propria cultura viva – aggiunge Dodong, operatore della Caritas nazionale filippina –. Caritas Kalibo continuerà a seguire la comunità, con attività di sostegno al reddito e formazione. Non vogliamo abbandonare la comunità, vogliamo ulteriormente rafforzarla e dare dignità ai suoi membri».
È solo il primo mattone
In occasione dell’edizione 2019 del Festival Ati-Atihan, la festa della cultura indigena locale, nonché il più noto festival filippino, che attira visitatori a Kalibo da tutto il mondo ma paradossalmente lasciava sempre gli Ati in disparte, Caritas Kalibo ha aiutato la comunità ad avere uno stand ben organizzato, permettendole di vendere i propri prodotti ed essere protagonista della celebrazione.
Ma ora il pensiero torna alle case: «Dopo 5 anni ce l’abbiamo fatta – conclude padre Ulysses –: i lavori stanno iniziando e dovrebbero finire nel 2022. Addirittura un collaboratore del Presidente della Repubblica ci ha contattato e sta facilitando una serie di richieste che sono state fatte: finalmente possiamo dare ai nostri amici Ati una casa nuova e maggiore stabilità economica, nonostante la pandemia che qui, nelle Filippine, sembra non mollare la presa».
Nella speranza che quest’esperienza possa diventare esempio anche per altre comunità indigene in altre aree delle Filippine, Caritas Kalibo si sta coordinando con il capitolo locale della Commissione nazionale per le popolazioni indigene, con l’obiettivo di condurre attività di advocacy per la difesa e l’esercizio dei diritti della comunità Ati. La casa è una base preziosa. Ma è solo… il primo mattone.
Aggiornato il 21/10/21 alle ore 11:58