Quando la scuola è luogo di incontro
Di seguito tre interviste a tre persone che ogni giorno, con il loro impegno, mettono in campo azioni di contrasto alla dispersione scolastica. Sono tratte dal Dossier della Caritas diocesana di Aversa “FormAzioni. Buone prassi territoriali per il contrasto alle povertà educative”.
1. UN LUOGO CHE SA DI CASA
La prima sensazione che si ha, quando si accede agli spazi interni del plesso “A. Stefanile” della Direzione didattica Terzo Circolo di Aversa (CE), è quella di trovarsi in una scuola particolarmente attenta alla cura degli spazi. L’austerità della struttura, conferita dal grande atrio d’ingresso, tutto a un tratto svanisce: lunghi corridoi abbelliti da murales e disegni dei piccoli alunni dell’istituto ravvivano l’intero spazio; finalmente si entra nel mondo dei piccoli abitanti di questa grande comunità. Al primo piano, in mezzo a quel tripudio di colori e suoni, c’è la presidenza; si mimetizza perfettamente con le aule del piano, quasi a dimostrare una vicinanza voluta e costantemente cercata.
Alla scrivania, immersa nel suo lavoro, siede la dirigente Anna Lisa Marinelli. Da otto anni ha l’arduo compito di dirigere un istituto che comprende infanzia e primaria, caratterizzato da quattro plessi ubicati in quartieri “periferici” della città di Aversa (Borgo, Gescal, URRA CASAS) che periferia assolutamente non sono, in quanto l’uno a ridosso del centro storico, gli altri conurbati con il Comune di Teverola senza le distanze fisiche che un territorio meglio organizzato dovrebbe avere. Ma rispetto alla città hanno caratteristiche umane, sociali e culturali molto tipiche di una società complessa che vive difficoltà e contraddizioni. La scuola conta circa seicentosessanta alunni, suddivisi in dodici sezioni dell’infanzia e ventotto classi della scuola primaria, un Collegio docenti composto da centoquarantasei unità, ventidue unità tra collaboratori scolastici e assistenti amministrative.
Marinelli, ritiene il suo istituto a rischio dispersione scolastica?
«Per la scuola dell’infanzia e primaria non si può parlare di vera e propria dispersione scolastica, ma piuttosto di “disfrequenza”».
Quali sono le azioni messe in campo nella scuola per contrastare il fenomeno?
«Un aspetto importante sul quale lavorare costantemente è il livello di autostima dei ragazzi, che va continuamente sostenuto e stimolato. A tale riguardo la nostra scuola ha attivato un protocollo curriculare che rappresenta un esempio pratico di intervento, cioè l’attribuzione, ai ragazzi più fragili, di compiti di responsabilità all’interno della classe quali la cura degli spazi e degli arredi, dei materiali didattici e dell’organizzazione della routine quotidiana attraverso la messa in pratica delle regole concordate e stabilite con i docenti e i compagni. Inoltre la scuola attiva percorsi extracurriculari specifici che interessano alunni e famiglie, volti a prevenire il rischio dispersione. Per le famiglie abbiamo progettato, grazie a fondi europei e regionali, percorsi per la genitorialità. Altre forme di intervento che guardano sempre all’obiettivo di creare una rete solida, sono il coinvolgimento delle 30 famiglie nel Consiglio di Circolo, la costituzione del Comitato dei genitori, la partecipazione alla Commissione mensa scolastica. Per quanto riguarda gli alunni, sempre grazie a finanziamenti regionali ed europei dedicati, la scuola propone progetti extracurriculari prevalentemente svolti in outdoor education: è importante far conoscere ai ragazzi e alle ragazze quello che succede “fuori” dalla scuola, attraverso la collaborazione di agenzie del Terzo settore e associazioni del territorio con specifiche competenze ludico-ricreative-culturali, non ultimo le uscite e le visite didattiche sul territorio che ci aiutano tantissimo a dare loro nuove motivazioni. Un esempio virtuoso è sicuramente il rapporto di partenariato che la scuola ha attivato con la Caritas di Aversa; infatti, poiché molte delle famiglie degli alunni iscritti al nostro circolo scolastico sono già accompagnate dalla Caritas, si è voluto mettere in campo un’azione di collaborazione in uno spazio a loro già “noto” attraverso la progettazione di momenti educativi ed esperienziali con gli esperti della cooperativa sociale Mebius e dell’Opera San Leonardo. Essi, insieme ai tutor scolastici, hanno costruito nuovi spazi di apprendimento e di socializzazione, strumenti per l’educazione delle nuove generazioni e delle loro famiglie che vertono in un contesto di povertà educativa, mediante finanziamenti europei che sono nuovamente confluiti nel settore cooperativo di Caritas che si occupa del sociale nella sua massima espressione. La scuola si è resa così protagonista di scelte efficaci e innovative».
Considerando le azioni che ha attuato nella sua scuola, è possibile formulare una “ricetta” contro il rischio della dispersione?
«Le scuole hanno il dovere di elaborare strategie di intervento. Tra esse, ritengo importante quella di cercare di aumentare quanto più è possibile il tempo di permanenza a scuola: la scuola deve diventare un luogo di incontro, rappresentare a tutti gli effetti un prolungamento dello spazio familiare vissuto nelle case».
Quando otto anni fa è arrivata in questo istituto che ambiente ha trovato? Anche allora non esisteva un “problema dispersione”?
«Voglio essere sincera. Il mio lavoro è stato quello di attribuire una forte identità alla scuola e di cercare di farle ritrovare la dimensione di scuola come “casa dei bambini”. Quello che io ho trovato nel settembre del 2015 era una scuola etichettata come “di serie B”, la scuola dei bambini difficili provenienti da famiglie con relazioni private e pubbliche abbastanza discutibili, la scuola degli stranieri e dei disadattati. Insomma, parliamo di un luogo estremamente stigmatizzato. Nel tempo essa ha conservato il suo genius loci, quello di una scuola che, ubicata fuori le mura, sebbene prossima al cuore storico della città, ha sviluppato la forte identità di scuola di quartiere.
Nel rispetto di questa forte identità le azioni messe in campo sono state finalizzate a creare rete e a cercare di responsabilizzare tutte le agenzie presenti nel quartiere (associazioni culturali, centri di formazione, centri ludico-didattici, parrocchie). Si è creato, nel tempo, quell’effetto domino che ha fatto nascere nuove intese e sinergie. Lavorando in questa direzione ho provato a cambiare la linea di azione che, da assistenzialistica, è diventata un agire per i bambini del quartiere e per offrire loro delle opportunità significative ai fini dell’apprendimento per la vita. Ho fatto del mio lavoro quotidiano una missione di ascolto e sostegno ai bisogni intercettati e alle necessità dei genitori, cercando di stringere accordi e collaborazioni per il successo formativo dei discenti e questo ha dato tanta speranza e solidarietà».
Poi la dirigente racconta di un nuovo progetto che vede la partecipazione dell’istituto al concorso “Tracce di memorie” del Ministero della Cultura e dell’Istruzione, quelle memorie dimenticate di cui anche il Terzo Circolo è protagonista. Un video breve riporterà alla luce un fatto di cronaca legato alla storia della scuola, a testimoniare quanto il senso di appartenenza rappresenti un significato fondamentale per l’intera comunità. Tutto ciò non fa altro che confermare l’idea che mi sono fatto di questo posto: una fucina di idee e di azioni, un luogo sempre in movimento, che cerca di essere un punto di riferimento per i suoi alunni e per la sua comunità, un luogo che sa di casa.
2. UN ALBERO CHE CRESCE INESORABILE
Villa di Briano (CE) è un comune con poco più di settemila abitanti situato nel bel mezzo del celebre agro aversano. Non c’ero mai stato prima d’ora e come spesso mi capita quando sono in un luogo sconosciuto osservo attentamente ciò che mi circonda, cercando di concentrarmi sul linguaggio dello spazio. La cosa che più mi colpisce è l’alternanza tra il grigio delle abitazioni e il verde della vegetazione dei campi che circondano la zona; è una lotta serrata dove non c’è ancora un vero vincitore. A richiamare la mia attenzione, inoltre, è il silenzio tombale che c’è per strada: sento solo il rumore stanco del motore della mia automobile.
Varcato l’ingresso del plesso di via Tasso percepisco subito qualcosa di diverso; ad ogni passo che faccio aumenta il volume del vocìo vivace che proviene dalle aule della scuola. Sembra quasi di essere entrato in uno spazio totalmente diverso da quello esterno, una sorta di città nella città. Dopo pochi passi arrivo alla porta della segreteria. Con molta gentilezza mi chiedono di aspettare l’arrivo della dirigente impegnata nel plesso dell’infanzia distante pochi chilometri dal plesso dove mi trovo. Passano pochi minuti ed ecco la dirigente che mi indica la strada che porta al suo ufficio.
Emelde Melucci da nove anni ha l’incarico di gestire l’Istituto comprensivo “R. Calderisi” a Villa di Briano, che conta 665 alunni, suddivisi in nove sezioni della scuola dell’infanzia, ventuno classi della scuola primaria e nove classi della scuola secondaria di primo grado. Un corpo docenti che conta 117 unità e un personale ATA di 17 figure (un DSGA, quattro assistenti amministrativi e dodici collaboratori scolastici).
Melucci, ritiene il suo istituto a rischio dispersione scolastica?
«Sì. In maniera preminente per la scuola secondaria di primo grado».
Quali sono i fattori che implicano tale rischio?
«Il primo fattore piuttosto significativo è individuabile nella mancanza di un tessuto socio-politico capace di offrire strutture fisiche o anche esperienze significative per la realizzazione di attività extrascolastiche. Laboratori, eventi aggregativi, iniziative e progetti per il sociale possono favorire il superamento di eventuali difficoltà relazionali che si vengono a creare in classe e possono aumentare il livello di motivazione allo studio sempre più basso.
Rispetto a questo scenario, quali sono state le azioni messe in campo dalla scuola?
«Dal punto di vista didattico, da tre anni la scuola promuove un programma importante di promozione alla lettura e lo fa a partire dagli alunni della scuola dell’infanzia. La competenza di lettura, intesa come comprensione, consente l’interpretazione e la valutazione critica di un testo scritto in quanto leggere non significa soltanto decifrare le parole scritte in un libro, ma soprattutto riuscire a cogliere il significato che esse trasmettono. Saper comprendere un testo, quindi, è una competenza fondamentale che non bisogna dare per scontato. Alla base di questa idea c’è anche la volontà di educare alla lentezza i nostri alunni abituati a ritmi di vita oserei dire stressanti che comportano una sregolatezza nel comportamento ma soprattutto nella comprensione; con il Comune di Villa di Briano abbiamo realizzato un patto di comunità intercomunale insieme al Comune di Trentola Ducenta che ha visto coinvolte la nostra scuola e la direzione didattica di Trentola Ducenta. Tornando a quello che le dicevo prima, vista l’assenza di esperienze e di spazi per le attività extrascolastiche, i nostri principali interlocutori solo le associazioni presenti sul territorio con le quali abbiamo collaborato per la realizzazione di progetti PON e progetti POR. La realizzazione di attività laboratoriali ci ha permesso di cambiare la metodologia; una metodologia non più trasmissiva ma che mette l’alunno nella condizione del fare. Inoltre non abbiamo lasciato intentata la strada del supporto alle famiglie disagiate: attraverso l’attivazione di moduli del programma regionale “Scuola Viva” abbiamo fornito un percorso alla genitorialità e aperto uno sportello per un supporto psicologico».
Oltre alla collaborazione con associazioni di volontariato che menzionava precedentemente, vi è mai capitato di interfacciarvi con altri soggetti? Con la parrocchia, per esempio, che rapporto c’è?
«Con la parrocchia Maria Santissima Assunta in Cielo abbiamo un ottimo rapporto, che si è rafforzato ulteriormente durante il periodo della pandemia. La comunità è stata un partner affidabile anche per il contrasto alla dispersione scolastica: si è creato un vero e proprio sistema di segnalazione dei soggetti a rischio. Con il sostegno del parroco Giuseppe Sagliano, inoltre, abbiamo coordinato l’accoglienza degli alunni stranieri esuli di guerra. Un altro soggetto è sicuramente il Comune, anche se il rapporto è sempre stato altalenante: non ci hanno mai fatto mancare un ascolto sincero ma materialmente sono poche le azioni messe in campo per la scuola».
La Melucci mi racconta poi dell’esperienza fatta come scuola-polo 42 per le Memorie di Vita con la rete “A piccoli passi” promossa dalla Diocesi di Aversa, molto apprezzata dagli alunni e dai docenti. Mi racconta di tutti i progetti in cantiere pensati e costruiti per offrire ai ragazzi e alle ragazze esperienze per acquisire una nuova prospettiva. La sensazione è che in questo istituto ci si impegna ogni giorno a far rumore in mezzo a quel silenzio assordante di un territorio difficile; perché alla fine il Calderisi somiglia un po’ a quella vegetazione che non si dà per vinta e che inesorabilmente si impegna a resistere alla tristezza del cemento grigio.
3. ROMPERE IL MURO DELL’ASSUEFAZIONE
Il fenomeno della dispersione scolastica si batte anche con il prolungamento dei doposcuola parrocchiali. Lo sa bene il gruppo dei Vincenziani della parrocchia di San Vincenzo Ferreri a Sant’Antimo (NA), che da sempre si impegna per offrire un supporto didattico ai minori della comunità. A parlarmi del ruolo della parrocchia e del lavoro dei volontari è il parroco, Gianluca Lentini. Incontro don Gianluca in uno degli uffici dell’Episcopio diocesano. L’idea di intervistarlo infonde in me un certo entusiasmo; conosco bene don Gianluca, conosco la sua appassionata attenzione pastorale per gli ultimi e sono certo che la nostra sarà una discussione interessante.
Don Gianluca, esiste un patto educativo tra la parrocchia e le scuole del territorio?
«Innanzitutto ci tengo a precisare che il doposcuola è una delle tante proposte che il gruppo dei vincenziani offre alla comunità parrocchiale. Parliamo di un servizio che opera sul territorio da tempo, ancor prima del mio arrivo in parrocchia. Tornando alla domanda di partenza: no, non esiste un rapporto strutturale con scuole anche perché gli istituti vicini alla parrocchia, l’istituto comprensivo statale “E. Pestalozzi” e l’istituto superiore tecnico statale “G. Moscati”, sono da tempo in reggenza. In passato abbiamo provato ad avviare un dialogo, soprattutto quando sia a me che al viceparroco don Vittorio Carpi fu affidata la cattedra di religione in questi due istituti, ma è difficile pensare a un lavoro in sinergia con il continuo via vai di dirigenti che c’è stato. Quello che cerchiamo di fare, quindi, è rispondere ai bisogni del territorio in un contesto sociale abbandonato dalle istituzioni (attualmente il Comune è commissariato per la mancata approvazione del bilancio di previsione del 2022). A tutto questo si aggiunge il dato allarmante della dispersione scolastica: una indagine dell’Istituto comprensivo ha rivelato che circa il 30% dei ragazzi e delle ragazze dei quartieri popolari di Sant’Antimo non frequenta la scuola».
Quali sono secondo lei i fattori che implicano tale rischio?
«Oltre l’assenza delle istituzioni e la precarietà della principale agenzia educativa, c’è un degrado sociale dilagante che parte dalle famiglie: la maggior parte dei soggetti a rischio vive in nuclei familiari dove uno dei due genitori ha problemi con la legge. La mancanza di una figura educativa di riferimento, quindi, lascia i ragazzi abbandonati a se stessi in balia di un tessuto sociale che ha poco da offrire».
Tornando all’iniziativa del doposcuola, ci può descrivere meglio in che modo agite? Quali sono i luoghi preposti per questo genere di attività?
«Il doposcuola parte dalla seconda metà del mese di ottobre ma già da settembre ci impegniamo a informare la comunità delle modalità di partecipazione. Le attività vengono svolte nel Centro Oznam, dove operiamo anche attraverso la Caritas e il Centro di ascolto, sempre grazie alla comunità dei vincenziani. Tutto questo è possibile grazie all’instancabile lavoro dei volontari, giovani e adulti, che donano parte del loro tempo. A questi viene affiancato il lavoro di professionisti del settore che vengono assunti per garantire un servizio di qualità. Per quanto riguarda il servizio dei volontari, c’è da dire che nel tempo è stato sempre più difficile coinvolgere nuove figure, ed è per questo che abbiamo attivato un protocollo d’intesa con l’Università Suor Orsola Benincasa per l’attuazione di tirocini formativi all’interno della nostra realtà; è molto importante per noi confrontarci con giovani studenti che hanno una formazione specifica soprattutto per la gestione dei soggetti con difficoltà di apprendimento e nel comportamento».
In questo ultimo periodo si parla tanto dell’importanza della presenza di comunità educative nei quartieri difficili. Secondo lei su quali aspetti bisogna lavorare?
«Il primo muro da rompere è quello dell’assuefazione. Sappiamo che non è facile ma il nostro lavoro deve partire da questo.
È necessario abbandonare quel vittimismo che ci immobilizza e che ci fa restare a guardare senza possibilità di intervenire, in tutti i contesti. Sembrano parole di circostanza, è sempre più facile a dirsi che a farsi ma sono convinto che è questa la strada, è questa la missione a cui siamo chiamati, come cristiani e cittadini responsabili».
Don Gianluca mi racconta dei numerosi progetti in cantiere per coinvolgere sempre di più la comunità. Nelle sue parole si può leggere tutta la fatica che si prova nell’operare isolati in un contesto difficile che inevitabilmente ti presenta il conto, sempre amaro. Nonostante questo, non ho mai percepito un sentimento di resa ma piuttosto una urgenza che ci chiama ad affrettarci a non perdere mai l’obiettivo principale: camminare insieme alla ricerca del bene, come la Chiesa ci insegna.
Aggiornato il 23/11/23 alle ore 15:51