«Una disperazione mai vista»
«Sono qui da cinquant’anni, compreso tutto il regime del Derg. Non ho mai visto una simile disperazione». Padre Harry commenta la condizione sociale che caratterizza l’Etiopia all’inizio del 2023. Fragilità e instabilità politiche, sommate a cambiamento climatico, l’hanno resa una delle crisi più catastrofiche al mondo, con due poli principali: il Nord, con le conseguenze del conflitto del Tigray, e Sud-Est, la carestia.
A due anni dall’inizio della crisi, nel Tigray la situazione umanitaria resta grave, nonostante la cessazione dei combattimenti. La guerra ha visto contrapposte le forze governative e il Fronte Popolare per la liberazione del Tigray: l’accerchiamento diede inizio alle ostilità il 4 novembre 2020, e da allora la violazione dei diritti umani da entrambe le parti è stata su larga scala. Dai negoziati di fine 2022 non si registrano incidenti: regge una pace fragile con fine dei massacri, rifornimento di medicinali e cibo, e lento ritorno degli sfollati. Quanto a pacificazione e ricostruzione della regione a fronte dei danni umani (almeno 600.000 vittime), produttivi e infrastrutturali, le prospettive sono lontane.
Il conflitto si è aggiunto a crisi preesistenti, come fame, siccità, invasioni di locuste. Il Corno d’Africa vive la peggiore crisi degli ultimi 40 anni, con 5 stagioni di pioggia consecutive perse. L’Etiopia ne è colpita da due anni, soprattutto il Sud-Est, con la compromissione delle capacità di sostentamento della popolazione che vive di pastorizia. Nel Sud, 4 milioni di animali erano morti già nel 2022, altri 20 milioni rischiano di perire nei prossimi mesi, mentre i deboli superstiti non sono in grado di fornire le risorse alimentari. Per quanto riguarda le persone, almeno 2,4 milioni saranno a rischio fame acuta nel Sud.
ll Corno d’Africa vive la peggiore crisi degli ultimi 40 anni, con 5 stagioni di pioggia consecutive perse. Nel Sud, 4 milioni di animali erano morti già nel 2022, altri 20 milioni rischiano di perire nei prossimi mesi
La nostra missione a Borana al confine con il Kenya si svolge in un paesaggio rosso e pietroso, pochi animali, nessuna vegetazione. Nella regione – dove l’85% dei 1,2 milioni d’abitanti sono allevatori – 6,8 milioni d’animali sono colpiti da crisi alimentare, 1,5 milioni già morti. «Le cifre ingannano, le perdite non sono omogenee – rivela l’animatore degli Spiritani, impegnati negli interventi di Caritas Etiopia a Yaaballo. I primi a morire sono i bovini, l’87% è già andato, vera riserva di proteine e latte. Poi tocca alle capre che stanno sparendo, e ormai anche i cammelli stramazzano a terra».
Almeno il 70% delle famiglie a Borana hanno bisogno d’assistenza alimentare, ma la catastrofe è già in corso: «Le statistiche dicono che per ora muoiono in massa animali e non persone, ma non è così. La fame è come la vecchiaia: non uccide ma espone ad altri pericoli. Se un ottantenne muore oggi d’infezione in un ospedale rurale, non è morto di fame, ma se avesse mangiato negli ultimi sei mesi si sarebbe potuto difendere da quell’infezione. E le donne incinta? E i neonati? Stanno già morendo, lo sappiamo».
Quello che non fa la siccità lo fanno gli insetti. Le infestazioni di locuste hanno interessato in varia misura almeno il 66% dei potenziali raccolti dal 2020 al 2022. Scarsità, alto prezzo di fattori di produzione – come fertilizzanti e sementi – e l’impennata dei prezzi del carburante stanno danneggiando la produzione e aumentando i prezzi del cibo. «Sono cinque le stagioni di raccolto perse al 98%, un fatto che non accade da 40 anni. Se ad aprile non arriveranno le piogge stagionali, sarà la sesta stagione: nessun vivente ricorda una simile situazione. Non so cosa accadrà se perdiamo anche la prossima».
Proseguiamo nel campo sfollati a 80 km da Yaaballo. Lì sono accampate 11.000 persone: il mese scorso erano 7.000, mentre fino a sei mesi fa non il campo neanche esisteva. I profughi hanno lasciato i villaggi nel raggio di 100 Km, dove la totale assenza d’acqua ha sterminato tutto il bestiame. Il governo ha sistemato nell’accampamento uomini, donne e bambini; le varie organizzazioni forniscono tende, soldi, qualche servizio. La vita è scandita dall’attesa del camion con l’acqua: fino al mese scorso le autocisterne erano una a settimana, ora una ogni due. Il campo è torrido di giorno, gelido di notte, le persone vivono sospese nella speranza che prima o poi ricominci a piovere, che possano tornare a casa. Sono «11.000 – ci dice Peter operatore di Caritas Etiopia – e ogni volta hai l’impressione che ti vengano incontro tutti e 11.000: il bisogno non finisce mai».
Nel campo di Yaaballo vivono 11.000 sfollati. Tre quarti sono bambini sotto i dieci anni
Tre quarti sono bambini sotto i 10 anni, almeno 6 o 7 per tenda: «il resto anziani e donne. Gli uomini validi sono emigrati in città per lavoro: spesso li vedi mendicare o arrangiarsi. Qui sono quasi solo donne». Sulle loro spalle, il peso della catastrofe: passano la giornata a cercare acqua e tagliare alberi: «è l’unica attività economica rimasta, produrre legna e carbone vegetale da vendere. Il lavoro è estenuante, il guadagno poco, e …guardati intorno: non ti senti sulla luna? Non ci sono più alberi o arbusti».
Anche l’esasperazione è palpabile e tira fuori il peggio quando alla miseria si aggiunge la rabbia. Ci viene in contro Betty, e non è accogliente. «Siamo stanchi di vedere operatori che ci visitano ma per noi fanno poco». Betty, 31 anni, è arrivata con i suoi 6 figli e la madre anziana due settimane fa: per lei, «i primi arrivati nel campo sono privilegiati, godono di più aiuto perché sono nelle liste del governo da più tempo». Passano dieci minuti e in un’altra sezione del campo siamo fermati da Danny, 72 anni, stizzito come Betty, ma per il motivo opposto: «gli arrivati il mese scorso sono stranieri, profittatori, non sono di qui». Non tollera che chi non è del luogo fruisca d’aiuto. Tensioni nuove e antiche, le guerre orizzontali fra disperati che si rinnovano, si sviluppano e prosperano nella crisi.
L’IMPEGNO DI CARITAS ITALIANA
Caritas Italiana opera nel paese in collaborazione con Caritas Etiopia ed alcune altre realtà della Chiesa etiope per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni colpite dai conflitti nel Tigray ed in altre regioni, (sfollati interni, comunità ospitanti) e dalla siccità. In particolare nelle aree colpite dalla guerra si stanno sostenendo circa 15.000 persone nell’accesso al cibo con distribuzione diretta di alimenti o buoni in denaro e altre 11.000 con beni di prima necessità quali: utensili, indumenti, coperte, zanzariere, ripari di urgenza. A circa 800 famiglie sono forniti i mezzi per il ripristino di attività agricole. Inoltre vi è un impegno per favorire percorsi di rielaborazione e cura dei traumi subiti da parte di molte persone vittime o testimoni di violenze o che hanno perso i loro cari. Nelle aree colpite dalla siccità Caritas Italiana sta sostenendo interventi per rafforzare la sicurezza alimentare di circa 8.000 famiglie tramite la fornitura di cibo e buoni in denaro e per soddisfare le esigenze sanitarie di famiglie sfollate.
Aggiornato il 24/02/23 alle ore 12:56