Curare la Repubblica imperfetta
Caritas Italiana ha realizzato a inizio estate un secondo Dossier sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Le ragioni sono diverse: innanzitutto è utile verificare le differenze tra il Piano elaborato dal governo Conte e la versione dell’attuale esecutivo, presentata a Bruxelles lo scorso 30 aprile. Inoltre, si tratta di continuare ad approfondire le questioni più rilevanti contenute nel documento, riguardo alle politiche sociali e alla tutela delle condizioni più fragili.
Ma questo nuovo approfondimento porta con sé anche una novità metodologica: se il Pnrr rappresenta l’orizzonte delle politiche pubbliche in Italia per i prossimi anni, è un atto di responsabilità non solo analizzarne ogni aspetto, ma farlo nella maniera più inclusiva possibile, soprattutto a partire dalla esperienza sul campo e dalla competenza di quanti condividono l’impegno per il bene comune. Per questa ragione è stato chiesto a esperti e operatori, compagni di viaggio della rete Caritas su diversi fronti progettuali o di studio, di fornire un contributo alla stesura del Dossier, per dare una mano a capire meglio cosa potrà accadere, nel futuro del welfare italiano, e cosa sarebbe auspicabile fare.
Le nostre Chiese pronte alle sfide?
Il Pnrr è, in definitiva, l’occasione per un importante lavoro di advocacy per i diritti delle persone e delle comunità meno favorite. Per poterlo svolgere adeguatamente, non è possibile esimersi da un esercizio di vigilanza condiviso, perché è il momento di valorizzare quanto più possibile ciò che unisce il paese, tutto ciò che fa crescere una comunità resiliente.
In questo senso lo straordinario intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 75° anniversario della nascita della Repubblica – pronunciato lo scorso 2 giugno – offre la cornice non solo ideale, ma concreta per decodificare e vivere questa fase cruciale della vita del paese. Il Presidente ha narrato la storia recente d’Italia come un percorso di inveramento dei valori costituzionali: «La Costituzione ha indicato alla Repubblica la strada da percorrere. […] Questa è l’idea fondante della Repubblica, di una Costituzione viva, che si invera ogni giorno nei comportamenti, nelle scelte, nell’assunzione di responsabilità dei suoi cittadini, a tutti i livelli e in qualunque ruolo».
La Costituzione ha indicato alla Repubblica la strada
da percorrere. È l’idea di una Costituzione viva, che
si invera ogni giorno nelle scelte dei suoi cittadini
Il Presidente ha ricordato che la Repubblica coincide con «i suoi principi fondativi. Le sue istituzioni. Le sue leggi, la sua organizzazione». Ma anche «ciò che viene prima. […] Parlo della vita delle donne e degli uomini di questo nostro paese. Dei loro valori. Dei loro sentimenti. Del loro impegno quotidiano. […] È la storia del formarsi e del crescere di una comunità».
Tutto questo rafforza il senso di responsabilità comune, come persone e come corpi intermedi. Diviene pertanto ineludibile una riflessione su quanto le nostre Chiese sono cordialmente vicine alle sfide indicate nel Piano, vale a dire la riduzione dei divari di genere, di generazione e territoriali, e di quali eventuali cammini debbano farsi carico. Ma complessivamente il Piano interroga le nostre comunità anche rispetto alle transizioni – ambientali, digitali, sociali e di mobilità – che caratterizzano la nostra epoca, che investono dimensioni antropologiche fondamentali e che non possono risultare estranee al servizio pastorale. Sarebbe auspicabile che l’avvio della stagione sinodale invocata da Papa Francesco incrociasse anche gli snodi che il nostro paese deve affrontare nel tempo che viene.
Tutti i valori da prendere sul serio
Contestualmente questo approccio impone un impegno a contribuire – sempre secondo le parole del presidente Mattarella – a rendere la «Costituzione viva, che si invera ogni giorno nei comportamenti, nelle scelte, nell’assunzione di responsabilità dei suoi cittadini, a tutti i livelli e in qualunque ruolo». E la democrazia sostanziale diviene «un continuo processo, in cui si cerca la composizione possibile delle aspirazioni e dei propositi, nella consapevolezza delle centralità delle persone, più importanti degli interessi».
Anche per questo Caritas Italiana e la rete Caritas sono chiamate a volgere la loro attenzione non solo alla lettera delle enunciazioni del Piano, ma al suo svolgersi concreto, a partire dalle modalità di attuazione degli impegni, ai percorsi di formulazione delle riforme, agli obiettivi dichiarati che si intendono raggiungere, al monitoraggio e alla valutazione dei loro esiti. Anche perché gli esiti – soprattutto negativi – delle politiche sono purtroppo un’evidenza che si impone autonomamente alle comunità territoriali, in termini di disagio prodotto o non intercettato, di bisogni che non trovano risposte, di sofferenza sociale che emerge in forme diverse. E che genera polarizzazioni in termini politici, dagli esiti non sempre prevedibili.
Le Caritas diocesane hanno scelto di raccontare questi esiti in maniera aggregata, divenendo un barometro della sofferenza sociale del paese e offrendo un indicatore – che ha certamente il pregio della tempestività – circa le tendenze sociali in atto. Ma la sfida è rimuovere le cause, non curare a valle gli effetti; fare leggi giuste, non invocarle.
Non si tratta, in questo senso, di rivendicare un ruolo ai soggetti sociali o al Terzo settore – definito «fondamentale» del presidente Mattarella –, ma di costruire una Repubblica all’altezza dei suoi valori costituzionali, come quelli della solidarietà e della sussidiarietà, vissuti come habitus profondo e non come vestiti della festa. Per questo non bastano singoli e ancora isolati strumenti attuativi – seppure essenziali – come, nell’ambito della sussidiarietà, la coprogrammazione e la coprogettazione, o l’idea di una riserva di temi accreditabili, in via preferenziale, all’area della solidarietà sociale organizzata, se non vi è una idea in cui i valori costituzionali siano tutti presi sul serio, bilanciandoli senza esclusioni.
C’è bisogno di una stagione di impegno comune, perché alcuni valori della Costituzione sembrano ancora pesare diversamente da altri. Alcuni – la sussidiarietà, l’eguaglianza, la solidarietà – rischiano di essere buoni per qualche declamazione occasionale; altri – la progressività fiscale – sono solo attenzionati, per realizzarne un’attuazione omeopatica, che eviti i rischi di incostituzionalità; altri, invece – il diritto di proprietà e di impresa – fanno gridare allo scandalo, a ogni pur minimo accenno a modifiche dello status quo, e ottengono particolari attenzioni da ogni governo. Attenzioni non nella prospettiva di un ragionevole bilanciamento dei diritti, ma della prevalenza di alcuni su altri.
Da tutelare sono i più ricchi?
La polemica estiva sulla proposta di una dote per i diciottenni è in questo senso esemplare, perché il teorema – indimostrato – che non si devono togliere soldi ai cittadini, raggiunge l’apoteosi quando i “cittadini” da tutelare sono il quintile più ricco del paese, il cui patrimonio equivale a oltre il 65% della ricchezza nazionale. Per un cristiano, Lazzaro e il ricco epulone non devono godere delle stesse tutele, anzi: perché «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali». (Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Lef, pag. 11).
Ma un paese che non cresce da vent’anni, ha livelli
di evasione fiscale da primato del mondo, non dovrebbe
far interrogare sul modello economico che segue?
L’opinione apparentemente comune è che sia il profitto la molla che fa vivere il paese. Ma un paese che – paradossalmente – non cresce da vent’anni, che ha livelli di evasione fiscale da primato del mondo, di corruzione da nazione in via di sviluppo, non dovrebbe far interrogare sul modello di economia da sviluppare per i prossimi anni, così come in maniera quasi ossessiva ripete il magistero di Papa Francesco?
Nel discorso pubblico, d’altronde, persiste una torsione invisibile, che esalta le pretese salvifiche e cela i limiti di un’idea neoliberista ancora aggressiva, nonostante le smentite che le ripetute crisi economiche – congiunturali e di sistema – hanno costituito, negli anni che abbiamo alle spalle.
Da non sottovalutare, peraltro, è la questione dei luoghi di una governance sussidiaria. Nel Dossier si ricorda che alcune istanze importanti sono già previste dalla normativa, ad esempio il Cipess (Comitato interministeriale programmazione economica e sviluppo sostenibile), il Cics (Comitato interministeriale cooperazione allo sviluppo), il Forum per lo sviluppo sostenibile, il Consiglio nazionale del terzo settore e la Rete della protezione e dell’inclusione sociale, nonché i diversi partenariati su fondi europei. È chiaro che c’è un duplice problema, relativo sia alle funzioni dei soggetti sociali, che spesso sono relegati nelle prassi a blande funzioni consultive, sia alla gestione non adeguatamente integrata e coordinata di questi strumenti di partecipazione, poiché continuano a prevalere logiche di settorializzazione, che rischiano di sterilizzare il contributo di tali strumenti.
Velocità, ok. E la solidarietà?
Esiste dunque certamente, rispetto alle risorse che presto verranno rese disponibili dal Pnrr, un’esigenza di celerità ed efficienza nell’impiego dei fondi, come ribadito a più riprese da esponenti di governo, dai partiti, da autorevoli opinionisti. Ma questa celerità ed efficienza non possono essere perseguite a costo del necessario dibattito sociale sull’opportunità delle scelte o – peggio – con una torsione della normativa verso una direzione che non tiene nel giusto conto le funzioni di garanzia e di controllo politico-amministrativo su quanto avviene. Abbiamo bisogno di scelte veloci, ma giuste e sostenibili, consapevoli che non c’è innovazione tecnica che non abbia conseguenze in termini sociali.
Emerge la necessità, già da oggi, di un cambio di passo delle modalità di presenza dei soggetti sociali: non possono essere ridotti a ruoli testimoniali all’interno di contesti nei quali le logiche di gestione sono «non negoziabili». Ruoli nei quali poter solo ricordare che la «Repubblica è solidarietà, […] è umanità e difesa della pace e della vita», ma senza una presa reale sui processi di governo, senza poter modificare l’ordine del giorno dei lavori.
Sviluppare da subito una serena e ampia valutazione della praticabilità dei luoghi di coordinamento e di partenariato esistenti, in cui è coinvolta la società civile, può dunque essere un contributo per definire una prospettiva nuova e più efficace di dialogo sociale. L’obiettivo è costruire luoghi ove effettivamente la cura della nostra Repubblica imperfetta diviene progettazione attenta, monitoraggio accurato e condiviso, valutazione fondata e non divisiva, riprogrammazione trasparente ed efficace.
Tutto questo rende necessari luoghi praticabili e strumenti resi disponibili, per potere esercitare un servizio costante di vigilanza e di proposta all’interno dei percorsi di cambiamento che si profilano nel paese, perché la profezia non è un altro nome dell’utopia, ma è la capacità di guardare lontano senza perdere il fuoco su quanto si ha di fronte.
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Caritas italiana continuerà quindi a lavorare sul Pnrr, producendo documenti di analisi e di proposta, aperti a contributi di esperti e operatori, in una logica di approfondimento, confronto e implementazione attuativa. Il cammino di realizzazione dei valori costituzionali, nell’orizzonte del Pnrr, è appena iniziato e sarà lungo e faticoso. A tutte le donne e gli uomini di buona volontà, presenti nell’amministrazione, nelle imprese e nella società civile in ogni parte del paese, vogliamo dire: percorriamolo insieme.
Aggiornato il 23/02/22 alle ore 13:37