Sì al riordino, no alle polemiche
Da qualche settimana si è tornato a parlare di Reddito di cittadinanza (Rdc) con grande vigore. L’occasione è costituita dalla discussione sulla legge di bilancio 2022 e sul decreto fiscale, che hanno riaperto il dibattito sulle risorse aggiuntive da destinare alla misura. Non che in questi ultimi mesi il tema fosse stato trascurato: in più occasioni si era sottolineato il ruolo cruciale che la misura ha avuto nel periodo di pandemia, al fine di sostenere centinaia di migliaia di nuclei in condizione di disagio economico. Si pensi al fatto che nel 2020, rispetto al 2019, sono state 986 mila le persone in più che hanno ricevuto la misura, portando il totale dei percettori da 2,7 a 3,6 milioni. Ancora, nei mesi di gennaio-agosto 2021 i beneficiari sono stati 3,7 milioni: ragionevole ipotizzare che fino alla fine di quest’anno possa verificarsi un ulteriore aumento della platea. Ed è quindi prudenziale, come ha fatto il decreto fiscale, prevedere un incremento (200 milioni di euro) delle risorse stanziate a copertura della misura.
Tuttavia il dibattito degli ultimi tempi è stato ancora una volta infestato da contrapposizioni politiche (abolire il reddito? modificarlo?), alimentate da aneddotica varia su coloro che percepiscono il Reddito. La tentazione della strumentalizzazione politica resta infatti sempre in agguato, scaricando sulla misura pregiudizi e cattive opinioni, che non aiutano a capire che cosa stia accadendo e in che direzione si debba andare.
Trasformazioni e strumenti
Alla povertà e alle sue trasformazioni interne il paese dovrebbe invece riservare un’attenzione mirata e vigile. Sappiamo, infatti, come confermano i dati illustrati da Oltre l’ostacolo, il Rapporto 2021 su povertà ed esclusione sociale, pubblicato da Caritas Italiana il 16 ottobre, che sul fronte della povertà due sono le tendenze parallelamente in atto: aumenta il numero di coloro che cadono in povertà, e che si rivolgono alle Caritas per la prima volta; d’altro canto, chi è seguito dai centri Caritas fa sempre più fatica a sganciarsi dalla rete di sostegno, anche se percettore di Rdc. È una vera e propria morsa, che non lascia scampo. Alla luce di ciò (nuovi che entrano e poveri di lungo corso che non escono), è fondamentale una riflessione sugli strumenti pubblici esistenti. E su come adattarli alla trasformazione in atto.
Per favorire un dibattito ampio, argomentato e saldamente ancorato ai dati, Caritas Italiana ha promosso un approfondito lavoro di studio, analisi e proposta di modifiche del Reddito di cittadinanza, confluito in un Rapporto di monitoraggio pubblicato a luglio e discusso alla presenza del ministro del Lavoro e del presidente dell’Inps.
Misura da ridisegnare
Nel Rapporto di luglio, le cui conclusioni sono ribadite in un capitolo del Rapporto di ottobre, Caritas parte da un presupposto: occorre mantenere sul Reddito di cittadinanza uno sguardo concreto e pragmatico. Il Reddito, per prima cosa, è infatti uno strumento per aiutare le persone in condizione di disagio economico a stare meglio e a ricevere un supporto economico e in termini di servizi sociali e lavorativi adeguati alla loro condizione. Non è una misura salvifica né risolutiva. Lo sguardo va fissato sulla povertà e sul modo di combatterla, non sul Rdc. Altrimenti si finisce con il considerarlo un moloch immodificabile, perdendo di vista il suo scopo.
Di conseguenza, il Reddito è una misura che richiede sostanziosi aggiustamenti in molte direzioni, ma con una grande dose di pragmatismo. Nella situazione attuale, è impensabile immaginare di chiedere solo miglioramenti che accrescano ulteriormente la platea dei percettori, senza considerare che la misura presenta squilibri su diversi fronti (numerosità delle famiglie e area geografica). Possono insomma essere realizzati risparmi interni alla misura, ridisegnandone alcuni aspetti. E possono essere apportate modifiche che non richiedono costi.
Quattro imperativi
In questa prospettiva, è stata costruita l’Agenda Caritas per il riordino del RdC, che definisce un pacchetto delimitato di questioni da affrontare per rafforzare e migliorare il RdC, con l’obiettivo di rispondere alle trasformazioni della povertà.
L’Agenda propone quattro imperativi, che costituiscono altrettante piste di lavoro:
- Migliorare la capacità del Rdc di intercettare la povertà assoluta. Oggi ancora più della metà delle famiglie in povertà assoluta non riceve la misura. Si tratta soprattutto di famiglie povere che tendono più di frequente a risiedere nel Nord, ad avere figli minori, ad avere al loro interno un richiedente straniero e ad avere un patrimonio mobiliare (risparmi) superiore alla soglia fissata come requisito di accesso. Una misura di contrasto alla povertà deve partire necessariamente dai più poveri tra i poveri, per poi estendersi anche a coloro che sono a rischio di povertà. Oggi alcuni tra i criteri di accesso al Rdc, per esempio il possesso di una quota di risparmi, o la residenza in Italia, impediscono a molte persone, pure in condizione di povertà assoluta, di ricevere la misura. Va trovato il modo per raggiungere tutti i poveri assoluti in primis, intervenendo sui criteri di accesso.
- Prevedere un pacchetto sistematico di modifiche sui criteri di accesso. Tutti gli studiosi e i ricercatori concordano sull’opportunità di ampliare alcuni criteri di accesso alla misura (diminuzione del numero di anni di residenza richiesti; definizione di una scala di equivalenza non discriminatoria verso le famiglie più numerose e che non le sfavorisca rispetto ai nuclei con uno o due componenti), ma anche di restringerne altri (ad esempio abbassando le soglie economiche per le famiglie di una persona e di due persone: oggi sono coperte dalla misura l’80% delle famiglie povere con un componente, e solo il 36% di quelle con 4 componenti). Ciò non vuol dire privare totalmente del contributo alcune persone, ma prevedere un ventaglio di interventi mirati, adatti alla loro situazione. Fra gli ampliamenti dei criteri di accesso, Caritas Italiana ha posto il tema della possibile introduzione di soglie differenziate fra i poveri che vivono al Nord e chi vive nel Mezzogiorno: questione che richiede molti approfondimenti ulteriori, ma a partire dalla consapevolezza che negli ultimi 15 anni l’aumento del rischio di povertà è stato maggiore nelle regioni settentrionali e ha riguardato sia italiani che stranieri.
- Proseguire il rafforzamento dei processi di inserimento lavorativo, collegandoli al programma governativo Gol (Garanzia di occupabilità per lavoratori). Vanno migliorati gli incentivi al lavoro per chi è già occupato, ma occorre anche disegnare interventi adatti a chi non è occupabile. I dati dicono che c’è bisogno di interventi cuscinetto, che accompagnino gradualmente le persone verso il rientro nel mercato del lavoro: il Rdc da solo non basta, perché il 72% dei percettori indirizzati ai Centri per l’impiego ha la licenza media, il 23% è sfiduciato, l’11% non ha partecipato di recente a colloqui di lavoro, il 78% non sa come proporsi alle aziende, 1 su 4 non ha alcuna preferenza sul tipo di lavoro da cercare e 1 su 5 non sa dove indirizzare la ricerca di un lavoro. Vanno insomma assolutamente collegati i percorsi per i beneficiari di Rdc a quanto previsto dal programma Gol, finanziato dal Pnrr e dalla nuova legge di bilancio. Esso punta a ridurre la disoccupazione, soprattutto favorendo il reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori scoraggiati e con poche competenze (Neet, beneficiari di Rdc). Si tratterebbe di circa 3 milioni di persone da collocare entro il 2025 (75% donne, disoccupati di lunga durata, giovani under 30 anni, lavoratori over 55 e persone con disabilità). Sarebbe inefficiente far procedere le modifiche del Rdc sul versante del lavoro, senza tener conto di questo corposo programma. Soprattutto per il bene dei diretti interessati, i percorsi di riforma vanno intrecciati da subito, evitando di avviare processi in parallelo.
- Sostenere gli ambiti territoriali sociali per realizzare l’inclusione sociale. Oltre alla costruzione di interventi coordinati con i Centri per l’impiego, le Asl e gli altri attori locali, per definire una rete di welfare locale, appare assolutamente necessario supportare e affiancare, sul versante formativo e consulenziale, gli Ambiti territoriali sociali nella traduzione operativa delle indicazioni normative e delle opportunità finanziarie rese disponibili per essi; questa indicazione prevede il coinvolgimento del ministero del Lavoro, in collaborazione con Banca Mondiale. Come ha dimostrato la ricerca Caritas, il problema non è la disponibilità di risorse (anche il da poco approvato Piano sociale nazionale 2021-2023 mette in campo una pluralità di opportunità per rafforzare i servizi sociali), ma avere strutture locali negli ambiti territoriali sociali con personale dedicato, in grado di destreggiarsi fra norme e risorse, e di saperle utilizzare al meglio.
Sotto l’urto della pandemia, la povertà evolve.
Devono farlo anche gli strumenti pensati per
contrastarla. Nell’Agenda Caritas quattro proposte
È questa la mappa Caritas verso la modifica del Rdc. È stata messa a punto nella consapevolezza che è da qui che occorre partire, per disegnare interventi sempre più adeguati a una povertà in evoluzione. Dati e proposte concrete alla mano. Per una volta, si spera, fuori da ogni strumentalizzazione politica. A vantaggio esclusivo dei poveri, e dell’intera comunità nazionale.
Aggiornato il 02/11/21 alle ore 16:28