Golpe, antidoto al terzo mandato?
La Guinea,in ordine di tempo, è l’ultimo paese sede di un golpe, trend consolidato in Africa Occidentale. Nel paese i golpe sono una tradizione: 1984, 2008, e ora 2021.
Il confinante Mali ha visto simili sviluppi nel 2012, 2020 e 2021. Il Burkina Faso, nel 2015, è stato teatro di un tentativo simile. In Niger, un colpo di stato è riuscito nel 2010, un secondo fallito nel 2011. In Gambia un tentativo nel 2017, in Ciad uno nel 2013.
Molti di questi colpi di stato sono messi a segno delle cosiddette Forze Speciali, gruppi d’élite molto professionali, spesso formati all’estero. Si tratta di una reale necessità tecnica per gli eserciti della regione, poco addestrati e disciplinati. Ma in un contesto di decadenza democratica e discredito politico, minacce alla sicurezza per Jihad e terrorismo e crisi economica cronica, queste forze si candidano a essere soggetti ben più operativi di quanto lo siano nelle intenzioni dei governi locali.
Una sorta di immunità
Il ‘’terzo-mandatismo’’ è ormai una sorta di sindrome africana Il limite di due mandati costituisce infatti un argine per il consolidamento di democrazie giovani, e manifesta la volontà dei protagonisti di rispettare regole faticosamente ottenute. Ma da tempo è vissuto con insofferenza da parte di presidenti anche meritevoli sotto altri profili. L’impatto delle “monarchie di fatto” non si limita peraltro alla massima magistratura istituzionale di un paese, ma – in regimi presidenziali – ha effetti a cascata su parlamenti, corti costituzionali, forze armate, authority, banche centrali, concorrenza…
Dal 2015, ben 13 paesi africani hanno dovuto registrare manomissioni costituzionali per perpetuare il potere di un presidente (Algeria, Burundi, Ciad, Isole Comore, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Guinea, Repubblica del Congo, Ruanda, Sud Sudan, Togo, Uganda). A questi vanno aggiunti i tentativi non riusciti (Benin, Liberia, Mauritania, Senegal, Isole Seychelles). Da non dimenticare, infine, i paesi che il limite neanche lo prevedono, o vere monarchie (Camerun, Eritrea, Etiopia, Gambia, Gibuti, Lesotho, Marocco, Somalia).
Il fenomeno non è docuto solo a una patologica sete
di potere. Spesso, all’indomani della decadenza,
i presidenti – anche illuminati – sono attesi da processi
Il fenomeno non è solo dovuto alla a una patologica sete di potere, fattore non assente. Democrazie neonate, che devono la loro esistenza a un leader forte, alla successione vanno incontro a un clima di incertezza e a rischi di tenuta che possono rendere necessario il prolungamento dei mandati. Del resto, i leader ben si guardano dal preparare la loro successione e dal circondarsi così di rivali. Da non sottovalutare, poi, che spesso i presidenti vorrebbero ritirarsi dalla vita pubblica, ma all’indomani della decadenza in molti casi li attendono processi per corruzione, patrimonialismo, appropriazione indebita – mali che in Africa colpiscono anche leader illuminati: il terzo mandato (o mandato a vita) diventa allora una sorta di immunità.
Resta il fatto che ci sono leader sempre più vecchi che governano popoli sempre più giovani: ne derivano chiare minacce alla stabilità, causate dall’insofferenza di massa.
Aggiornato il 13/12/21 alle ore 12:36