10 Gennaio 2022

La nostra storia, il nostro domani

Le sfide che attendono la galassia Caritas, alla luce delle lezioni che si ricavano da 50 anni di partecipazione alla costruzione del welfare in Italia


In occasione del 50° anniversario della sua istituzione, avvenuta il 2 luglio 1971, Caritas Italiana ha realizzato un’ampia ricerca, intitolata Dentro il welfare che cambia. 50 anni di Caritas, al servizio dei poveri e della chiesa. La ricerca, che ha richiesto due anni di lavoro, non aveva l’obiettivo di celebrare una realtà, ma di tentare di ricostruire il percorso e il senso di quanto è stato fatto, verificandone la fedeltà al Concilio Vaticano II che lo ha ispirato, per illuminare il cammino futuro.

In 50 anni è cambiato profondamente il volto delle comunità cristiane; le culture tradizionali si sono via via affievolite nelle transizioni economiche e sociali, che hanno trasformato l’Italia da paese agricolo a paese industriale e post-industriale, modificandone aspetto, dinamiche, perfino valori. Caritas Italiana ha osservato tutto questo dalla prospettiva di quanti rimanevano indietro o esclusi dai processi di cambiamento, dal punto di vista di comunità territoriali intrappolate in meccanismi di mancato sviluppo, facendosi carico di storie di povertà, disagio e marginalità, nonostante l’alto riconoscimento dei diritti sociali presente nella nostra Carta costituzionale.

Contributo al sistema nazionale
Considerando il rilevante impegno profuso dagli istituti religiosi e da altre realtà organizzate di area cattolica per iniziative connesse – direttamente o indirettamente – con l’organizzazione delle risposte di welfare, e con la tutela e la promozione dei diritti sociali, la ricerca ha studiato il welfare di ispirazione ecclesiale nel suo complesso, per illustrare e approfondire il contributo della Chiesa italiana alla costruzione, implementazione e promozione del welfare nazionale. E valutare, al contempo, il contributo offerto alla ricerca teologico-pastorale e alla sua evoluzione.Naturalmente la ricerca non ha potuto non considerare la pandemia – esplosa nelle fasi iniziali del lavoro – e i suoi effetti, che hanno determinato una ripresa significativa dell’intervento pubblico, con misure di emergenza e come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza elaborato dal governo italiano.

Il primato dell’ascolto
Il rapporto di ricerca è suddiviso in quattro volumi, pubblicati nel sito istituzionale di Caritas Italiana, corrispondenti ad altrettante sezioni:

  1. socioculturale, sui fondamentali del welfare religioso e sulle categorie analitiche per comprendere i fenomeni più rilevanti implicati;
  2. ricostruttiva e analitica, su ruolo, funzioni e attività svolte da Caritas Italiana;
  3. narrativa, in cui si dà voce alle testimonianze di alcuni attori a diverso titolo protagonisti;
  4. teologico-pastorale, secondo la lettura di un pool di studiosi e le conclusioni di Caritas Italiana stessa.

Principio fondamentale di qualsiasi riflessione sull’impegno della “rete Caritas” nella realtà attuale e futura è l’articolo 1 dello statuto di Caritas Italiana, dove sono specificate le sue finalità: «promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica». Parole chiare e quanto mai attuali, a fronte di un contesto socio-economico nazionale e internazionale sempre più problematico, che ha messo a dura prova la tenuta delle stesse comunità ecclesiali e che interpella fortemente la coscienza di ogni cristiano.

A tale riferimento vanno aggiunte le tre vie che il 26 giugno scorso, incontrando Caritas Italiana e le Caritas diocesane per la celebrazione del 50°, papa Francesco ha indicato per proseguire il percorso intrapreso: la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. Questi fondamentali riferimenti illuminano le prospettive per la Caritas emerse dalla ricerca e, in relazione ad esse, anche il contributo che Caritas Italiana e Caritas diocesane possono offrire al Cammino sinodale della Chiesa universale attualmente in corso.

Un primo aspetto riguarda la funzione dell’ascolto, atteggiamento – prima ancora che attività – fondamentale per la pastorale della carità nella “attualità” delle Chiese particolari. È il punto di partenza, che al tempo stesso dà una base di concretezza alle azioni e richiede la disponibilità a lasciarsi toccare in profondità.

La capacità di ascolto è una dimensione fondamentale dello stile che papa Francesco stesso chiede a tutta la Chiesa di assumere: «Una Chiesa sinodale – ha affermato in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015) – è una Chiesa dell’ascolto». Ascolto della realtà, dei problemi reali, spesso drammatici, delle persone che si rivolgono alle parrocchie, ai servizi ecclesiali, ai singoli operatori.

In questo senso, come evidenziato anche da monsignor Carlo Roberto Redaelli, presidente di Caritas Italiana, lo scorso novembre nel suo intervento alla 75ª Assemblea generale della Cei, le Caritas diocesane possono contribuire molto nella fase narrativa del Cammino sinodale in corso, aiutando le comunità a mettersi in ascolto degli ultimi e di tante persone che spesso sono ai loro margini. Un ascolto da assumere come “stile” ecclesiale, che riconosce dignità a tutti. Ma anche ascolto all’interno delle comunità, per cogliere tutti i segnali di novità che provengono dalla vita e che possono sollecitare le comunità stesse a rinnovare le loro dinamiche e a sperimentare forme innovative di carità.

Al tempo stesso, il servizio della carità non può tralasciare la dimensione contemplativa, senza indulgere allo spiritualismo, ma per mettersi autenticamente alla sequela del Signore che per amore si incarna nella storia umana.

Quanto più la pastorale della carità saprà muoversi
tra i poli dell’ascolto, del mistero e del discernimento,
tanto più si definirà come autentico servizio ecclesiale

L’ascolto – e l’osservazione – della realtà, sociale ed ecclesiale, e la luce che proviene dalla contemplazione del mistero possono così aprire processi di discernimento in vista di scelte concrete. Quanto più la pastorale della carità saprà muoversi tra questi tre poli (l’ascolto, il mistero, il discernimento), tanto più si configurerà come autentico servizio ecclesiale, la cui prima beneficiaria sarà la comunità cristiana stessa.

Modello poliedro
All’ascolto va unito l’accompagnamento, elemento imprescindibile per la “prevalente funzione pedagogica” propria della Caritas, da realizzare attraverso la “presa in carico” di coloro che bussano alla porta della comunità. Ma anche il paziente e non facile accompagnamento della comunità all’incontro con i poveri e il «prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause» (Evangelii Gaudium, 198).

In questo tempo, di questioni e problemi sempre più complessi, appare poi fondamentale saper lavorare in rete con soggetti diversi, nella consapevolezza di essere una parte della realtà, liberandosi dell’ansia di dover dare da soli una risposta a tutto e senza la preoccupazione di essere al centro, ma costruendo alleanze, puntando a obiettivi condivisi, mettendo ciascuno a disposizione le proprie risorse e competenze, nell’ottica del bene comune e dell’animazione della comunità, ecclesiale e civile. A questo proposito vale la pena ricordare il modello del poliedro, indicato per la prima volta da papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e poi richiamato più volte nell’enciclica Fratelli tutti: «Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno» (EG, 236).

Lavorare in rete, sempre più cruciale per gli organismi pastorali e sociali


L’esperienza che in questo tempo di pandemia stanno vivendo le Caritas diocesane e moltissime Caritas parrocchiali dimostra quanto ciò sia importante, e quanto le stia aiutando a comprendere meglio la specificità della propria funzione rispetto alle altre realtà del territorio.

Nondimeno va sottolineata la necessità dell’attività di tutela dei soggetti deboli (l’azione di advocacy), denunciando le situazioni di ingiustizia e lo smascheramento degli interessi a cui esse sono funzionali, promuovendo al tempo stesso nelle persone meno tutelate la consapevolezza dei propri diritti negati. In questo periodo storico, in cui le disuguaglianze aumentano in misura insopportabile e le ingiustizie si stratificano, non ci si può più limitare a offrire solo risposte isolate o puramente assistenziali, senza porsi il problema di risalire alle loro cause e affrontarle. Stare dalla parte di coloro che non hanno la capacità di rivendicare i propri diritti vuol dire trasformare l’indignazione in un processo di costruzione delle migliori risposte possibili.

È infatti carità stare vicino a una persona che soffre, ma è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. «Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica» (FT 186). L’art. 3d dello Statuto di Caritas Italiana, riferito ai suoi compiti, la impegna fortemente in questo senso: «realizzare studi e ricerche sui bisogni per aiutare a scoprirne le cause, per preparare piani di intervento sia curativo che preventivo, nel quadro della programmazione pastorale unitaria, e per stimolare l’azione delle istituzioni civili ed una adeguata legislazione». E, di riflesso, impegna anche le Caritas diocesane, in un’attività quanto mai necessaria nella realtà attuale.

Una sfida formativa
Tutto questo rappresenta una sfida in termini formativi, essendo sempre più necessaria una formazione adeguata rispetto al livello a cui ciascuno opera (direttori, collaboratori, volontari, operatori professionali, ecc.), da diversi punti di vista: spirituale, teologico, tecnico-professionale, socio-economico, educativo. Ciò non significa che ogni persona impegnata nella pastorale delle carità, a qualsiasi livello, debba essere un superesperto o possedere competenze straordinarie; è invece bene – e lo sarà sempre di più – evitare la sindrome da one man show e promuovere il lavoro corale, valorizzando le capacità e le competenze di più soggetti. Il lavoro in équipe – a cui peraltro i giovani sono particolarmente sensibili – fa parte dello stile di una Chiesa sinodale, ma non è automatico; appare necessario un investimento formativo in tal senso, soprattutto per coloro che sono chiamati a ricoprire un ruolo di leadership all’interno delle équipe.

Paolo VI con monsignor Giovanni Nervo, i due “padri” di Caritas Italiana

In termini formativi, appare poi importante valorizzare le interviste ai “testimoni Caritas”, sia a livello nazionale che diocesano, pubblicate nell’Appendice al volume 3 della ricerca. Si tratta di testimonianze che costituiscono un ricco patrimonio, utile per la ricostruzione e la conservazione della “memoria storica” della Caritas. Le prime si concentrano in particolare sui primi decenni di vita di Caritas Italiana e raccontano l’elaborazione di un “modo di procedere” rispetto alla complessità delle vicende italiane in ordine alle politiche sociali, alle emergenze nazionali e internazionali, al servizio civile, all’educazione alla pace, al volontariato, alle istanze di solidarietà sociale rivolte al potere legislativo e alle amministrazioni locali. Le testimonianze diocesane raccontano invece come i principi fondamentali comuni siano stati declinati nel corso del tempo nelle diverse realtà territoriali, concentrandosi in particolare su tre nuclei di argomenti: il ruolo delle Caritas diocesane nel disegno pastorale delle Chiese locali; il loro modello organizzativo; le modalità di inserimento nella rete del welfare territoriale. Dalle interviste ai testimoni diocesani emergono poi alcune questioni aperte, che rientrano tra quelle che verosimilmente caratterizzeranno di più il futuro della Caritas nei territori: la formazione; il coinvolgimento dei giovani; i diversi significati che possono essere connessi alla povertà; i riflessi che ne derivano sul piano delle scelte operative e degli strumenti di intervento.

Emergono alcune questioni aperte, che segneranno
il futuro Caritas nei territori: formazione; ruolo
dei giovani; i significati da attribuire alla povertà

La ricchezza dei racconti, e gli spunti di riflessione che offrono, portano ad affermare che ogni Caritas diocesana potrebbe realizzare un lavoro simile, recuperando i testimoni storici della propria realtà: ciò potrebbe rivelarsi molto utile per chi, impegnato oggi e in futuro nella Caritas diocesana, non ne conosce abbastanza la storia.

Giovani, non oggetti
La via della creatività indicata da papa Francesco sollecita particolarmente le Caritas diocesane al coinvolgimento e alla valorizzazione dei giovani. L’esperienza di questi 50 anni dimostra quanto sia stato prezioso il loro apporto, soprattutto grazie al servizio civile, che ha coinvolto decine di migliaia di ragazze e ragazzi, con indiscutibili riflessi positivi sulla vitalità delle Caritas diocesane e sullo sviluppo della sensibilità ecclesiale verso nuovi stili di vita. Inoltre, l’esperienza del servizio civile ha suscitato in molti di loro scelte personali, familiari, professionali e sociali orientate alla solidarietà, con impatti anche molto significativi sulle loro vite. Infine, il coinvolgimento di molti giovani in occasione della pandemia, che in molti casi ha reso possibile servizi che altrimenti non sarebbe stato possibile garantire, dimostra quanto sia grande e significativo il loro potenziale, che sarebbe delittuoso ignorare o disperdere.

La Caritas “young”: soggetti di un nuovo protagonismo

Il Sinodo dei giovani ha fatto chiaramente capire la necessità di considerarli “soggetti” e non “oggetti”, cosa tanto più importante in una società sempre più anziana, nella quale le loro istanze e le loro aspirazioni trovano sempre meno adeguata rappresentazione. Una convivenza più umana necessita – anche e soprattutto nei loro confronti – di ascolto e accompagnamento, con l’offerta di esperienze forti e significative, che i giovani hanno sempre dimostrato di apprezzare particolarmente.

Un ultimo aspetto riguarda infine la chiusura di molte attività caritative promosse da istituti di vita consacrata, e spesso anche il venir meno o la forte riduzione della presenza degli istituti stessi. Come documentato dalla ricerca attraverso l’analisi dei dati relativi ai censimenti dei servizi socio-assistenziali ecclesiali, realizzati a cadenza decennale a partire dagli anni Settanta, al momento dell’istituzione di Caritas Italiana vi era ancora una fioritura di presenze carismatiche sui diversi fronti della carità. Oggi non è più così. Ma forse è opportuno riflettere se le Caritas diocesane (e le diocesi) debbano o comunque siano in grado di supplire a tali chiusure. Anche questo può essere un tema su cui riflettere nel corso del Cammino sinodale.

Aggiornato il 11/01/22 alle ore 12:33