Emergenza carestia in Africa
Da oltre un anno una drammatica crisi alimentare sta colpendo l’Africa orientale e altre regioni del continente, frutto dell’effetto combinato di guerre, siccità, alluvioni, aumento dei prezzi, conseguenze durature della pandemia di Covid-19, aggravata dall’impatto globale della guerra in Ucraina. Una tempesta perfetta che ha messo in ginocchio milioni di persone la cui sopravvivenza dipende dagli aiuti umanitari che subiscono il taglio dei donatori internazionali e della solidarietà privata attratti per lo più dalla guerra in Ucraina. In Africa orientale si stima che siano circa 50 milioni le persone colpite dalla crisi e in alcune aree oltre 300.000 quelle in condizioni di carestia estrema con decine di morti per fame al giorno. Una situazione simile a quella del 2011 quando a causa dell’indifferenza del mondo morirono di stenti 250.000 persone.
Popolazioni che subiscono pesantemente gli effetti di conflitti dimenticati, interessi economici e geostrategici esterni e del cambiamento climatico di cui non sono responsabili. Un’ingiustizia globale aggravata dalla disattenzione dei media e dei governi di tutto il mondo, con i piani di aiuto umanitario delle agenzie dell’ONU che restano ampiamente sotto finanziati. Un appello ai leader mondiali lanciato alla 27ma Conferenza sul Clima tenutasi in Egitto a novembre 2022, affinché si mettano da parte gli interessi di parte e si diano risposte concrete e adeguate non solo per la riduzione delle emissioni di carbonio, cosa necessaria oggi per la sopravvivenza di domani, ma anche per rispondere a chi vede minacciata la propria esistenza oggi dall’erraticità climatica e da catastrofi ambientali sempre più intense e frequenti. Ne è un esempio la siccità senza precedenti che sta colpendo la Somalia, l’Etiopia e il Kenya con 5 stagioni di pioggia perse (due anni), milioni di capi di bestiame morti e altrettante famiglie di pastori e piccoli agricoltori che hanno perduto i loro mezzi di sostentamento.
In Africa orientale si stima che siano circa 50 milioni le persone colpite dalla crisi e in alcune aree oltre 300.000 quelle in condizioni di carestia estrema con decine di morti per fame al giorno.
Come Ubax Shuuriye Cismaan, una madre di 5 figli che vive nel sito per sfollati di Dugane_Ceel Gaale in Somalia. Lei ed i suoi figli sono fuggiti da Halgan, a nord di Mogadiscio, a causa della siccità e del conflitto. Ubax ha partorito da poco. Così racconta:
“Avevamo più di 100 pecore e capre per sostenere la nostra famiglia, ma sono state uccise dalla siccità e dai combattimenti, costringendoci a trasferirci. Ci siamo messi in cammino nonostante fossi quasi al 9° mese di gravidanza, per questo ci abbiamo impiegato alcune settimane per arrivare in questo campo. Qui sopravviviamo con gli aiuti che ci vengono distribuiti, ma a volte non sono sufficienti”.
In Sud Sudan invece le piogge torrenziali hanno provocato per il quarto anno consecutivo, alluvioni devastanti che hanno messo sotto l’acqua due terzi del paese distruggendo case e raccolti.
La malnutrizione accresce il rischio sanitario e viceversa. In Somalia si sono registrati già 12.000 casi di colera nei primi 10 mesi del 2022, in crescita anche in altri paesi del Corno. Ciò è dovuto anche all’aumento dei prezzi del cibo, una delle cause della crisi attuale, che costringe le famiglie a scegliere tra mangiare e curarsi, provocando l’interruzione dei trattamenti medici necessari per l’HIV ed altre patologie. Come Ubax, per sopravvivere molte famiglie decidono di spostarsi alla ricerca di condizioni migliori. In Somalia, Kenya e Etiopia, sono ormai oltre 2 milioni le persone sfollate a causa della siccità. Inoltre l’insicurezza alimentare ha un impatto importante sull’educazione, il rischio di abbandono scolastico è triplicato in tre mesi con circa 1,8 milioni di bambini che hanno interrotto la scuola nei tre paesi. Si tratta delle così dette strategie di adattamento negative, necessarie per la sopravvivenza, ma che compromettono le future capacità di sostentamento e sviluppo.
La rete Caritas è impegnata da mesi a sostenere le popolazioni colpite dalla fame con interventi per fornire un aiuto immediato soprattutto alle categorie più vulnerabili, ma anche per prevenire le strategie di adattamento negative da parte delle famiglie come la fornitura di cibo e acqua per gli animali per cercare di prevenirne la morte. Ma anche Caritas subisce la riduzione delle donazioni e non riesce a rispondere a tutte le richieste; inoltre l’aiuto umanitario, seppur indispensabile, non può essere la soluzione definitiva. Occorre agire alla radice per rimuovere le cause strutturali che a livello globale persistono e si aggravano e far cessare le guerre che piagano il continente e il mondo intero. Non bisogna dimenticare che l’effetto devastante degli shock climatici derivano dalle pregresse condizioni di vulnerabilità della popolazione.
In Somalia, Kenya e Etiopia, sono ormai oltre 2 milioni le persone sfollate a causa della siccità. Inoltre l’insicurezza alimentare ha un impatto importante sull’educazione, il rischio di abbandono scolastico è triplicato in tre mesi con circa 1,8 milioni di bambini che hanno interrotto la scuola nei tre paesi.
Ne è un esempio la Somalia che da oltre trent’anni è vittima di conflitti interni e di una frammentazione sociale e istituzionale che di fatto la classifica come stato fallito in cui il governo riconosciuto internazionalmente controlla una porzione molto limitata del Paese. Una situazione che rende la popolazione estremamente fragile in termini di capacità di sostentamento e altamente vulnerabile alla variabilità climatica e dei prezzi.
In occasione della Conferenza sul clima molte le proposte concrete provenienti dalla Chiesa e dai movimenti della società civile africane e di molti paesi delle aree più colpite dal cambiamento climatico ispirate dalla Laudato Si di Papa Francesco che la rete Caritas internazionale ha raccolto e sottoposto ai leader mondiali. Alla base vi è il tema di mettere al centro le esigenze e le risorse delle comunità locali più colpite dal cambiamento climatico a partire dalla comunità autoctone, le comunità pastorali ed i piccoli agricoltori che producono la gran parte del cibo mondiale, dando ad esse voce in merito alle politiche globali da adottare.