Sud Sudan, è l’ora della Pace!
In piedi, composti e impettiti nei loro eleganti completi scuri, stavano davanti al Santo Padre i maggiori leader del neonato Stato del Sud Sudan, il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar. In silenzio, assorti, ascoltavano il disperato appello lanciato dal Papa in quella giornata primaverile: “A voi, che avete firmato l’Accordo di pace, vi chiedo, come fratello, rimanete nella pace.” Queste le parole pronunciate da Papa Francesco. Subito dopo un gesto clamoroso e inusitato, destinato probabilmente a rimanere impresso nella storia. Il Santo Padre si prostra. Sulle spalle raccoglie tutta la sofferenza e le fatiche di un popolo stremato e lacerato dalla guerra, il popolo sud sudanese. Si china, in ginocchio, davanti ai maggiori leader di quel Paese, e bacia loro i piedi, chiedendo la pace e la fine di tutte le sofferenze che decenni di guerra hanno inflitto al popolo del Sud Sudan. Era l’aprile del 2019.
Oggi, a distanza di quasi quattro anni, i sud sudanesi accolgono nella loro terra Papa Francesco, partito per un pellegrinaggio in Africa il 31 gennaio.
Costruire sentieri di pace, aprire i cuori al dialogo e camminare verso le vie della riconciliazione: la missione del Santo Padre in questo viaggio di speranza e di pace. Un viaggio attraverso le terre ferite della Repubblica Democratica del Congo e del vicino Sud Sudan. Territori, questi, ancora sanguinanti, vittime di conflitti troppo a lungo dimenticati, consumatesi nel silenzio dei media e di tutta la comunità internazionale.
“Qui da pellegrino prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità”. Questo il messaggio che il Santo Padre ha scritto sul libro d’onore del Palazzo presidenziale del Sud Sudan, subito dopo il suo arrivo a Juba il 3 febbraio.
Il conflitto sud sudanese affonda le sue radici in decenni di storia, trascorsi in uno stato di guerra perenne. In una prima fase (1955-2005) gli scontri interessavano le regioni del nord del Sudan da un lato e le regioni del sud dall’altro. Separate da marcate differenze istituzionali, religiose e linguistiche, nord e sud avevano due identità contrastanti. A rendere il quadro più complesso le spaccature presenti all’interno del fronte del sud, dovute alla tensione tra le due etnie abitanti delle regioni meridionali: i Dinka e i Nuer.
La sanguinosa guerra, che per decenni ha lacerato le terre sudanesi, trova una risoluzione nel 2005 con un accordo di pace tra le due parti. Così l’11 luglio 2011 il fronte del sud ottiene la sua indipendenza. È la nascita dello stato del Sud Sudan, il Paese più giovane al mondo.
Sulla scena politica del neonato Paese emergono fin da subito due leader, Salva Kiir, di etnia dinka, e Riek Machar, di etnia nuer. Divisi fin dal principio da questioni di potere e da odi etnici, Kiir e Machar si trovano insieme alla guida di un Paese sfibrato da decenni di guerra. Le sfide della nuova Repubblica sud sudanese sono estreme: povertà dilagante, assenza di infrastrutture, mancanza di servizi, rancori e una marcata disomogeneità regionale. Sfide troppo grandi per uno Stato appena nato e già ampiamente lacerato da tensioni etniche. Nel 2013 il Sud Sudan precipita nel baratro di una nuova guerra civile, questa volta dai tratti genocidari, con l’etnia dinka in posizione di attacco.
400 000 i morti, 4 milioni gli sfollati (circa 1/3 del Paese), 17 000 i bambini soldato coinvolti nel conflitto e un numero incalcolabile di atrocità, violenze, stupri e soprusi. Si conclude così, con questo terribile scenario, l’ultima fase di una storia post-coloniale durata 66 anni, 44 dei quali di conflitto.
A livello locale gli scontri non si sono mai fermati, neppure dopo gli accordi di pace del 2018. I venti di guerra soffiano ancora nella regione di Equatoria, dove aspri conflitti si consumano tra la popolazione locale, simpatizzante della fazione Nuer, e i Dinka, emigrati in massa in quelle terre a causa della crisi climatica.
Secondo i dati riportati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), sono circa 8,9 milioni i sud sudanesi che oggi necessitano di assistenza umanitaria, 2,3 milioni i rifugiati all’estero (nei vicini Paesi del Sudan, Uganda, Etiopia, Kenya e Repubblica Democratica del Congo), 2,2 milioni gli sfollati interni. Dati preoccupanti, se comparati con il totale della popolazione, che è di circa 13 milioni.
A una stagione di conflitti protrattasi per decenni non ne è seguita una di pace, neppure dopo gli accordi del 2018. La fragilità politico-istituzionale e la dilagante corruzione interna al Paese hanno favorito l’insorgere di nuove tensioni in un clima ascendente. Il rinvio delle elezioni programmate per il 2020 e posticipate al 2024 è solo un gradino di questa scala.
A minare ulteriormente la stabilità di un Paese già di per sé fragile vi è anche la questione del petrolio, scoperto negli anni Settanta. Un immenso patrimonio, questo, che potrebbe contribuire in modo significativo a uno sviluppo umano ed economico duraturo.
Oggi, purtroppo, più che una benedizione l’oro nero è motivo di conflitto, divisione, corruzione. È lui una delle maggiori cause che hanno portato alla guerra civile del 2013.
Seppur ricchissimo di giacimenti petroliferi, il Sud Sudan rimane uno dei Paesi più poveri al mondo, al 191° posto, l’ultimo nella classifica per indice di sviluppo umano. L’83% della sua popolazione vive sotto la soglia di povertà. Secondo i dati riportati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), sono circa 8,9 milioni i sud sudanesi che oggi necessitano di assistenza umanitaria, 2,3 milioni i rifugiati all’estero (nei vicini Paesi del Sudan, Uganda, Etiopia, Kenya e Repubblica Democratica del Congo), 2,2 milioni gli sfollati interni. Dati preoccupanti, se comparati con il totale della popolazione, che è di circa 13 milioni. A incidere su questo quadro di crisi, uno dei più gravi al mondo, vi sono, oltre ai conflitti, anche catastrofi naturali, shock economici e una gravissima insicurezza alimentare.
In questo scenario di grande instabilità si innesta anche la piaga del cambiamento climatico, ulteriore flagello per la produzione agricola e grande minaccia per la sicurezza alimentare del Paese. Il Sud Sudan rappresenta oggi uno dei Paesi più martoriati dall’irregolarità climatica nel Corno d’Africa, insieme alla Somalia. Negli ultimi mesi piogge torrenziali e alluvioni devastanti si sono abbattute sulle sue terre, distruggendo abitazioni, infrastrutture e raccolti. L’impatto di questi fenomeni sulla crisi alimentare già precedentemente in atto è gravissimo. Secondo il Global Report on Food Crisis del 2022 sono 6,6 milioni gli abitanti del Paese che vivono una situazione di insicurezza alimentare severa, 60 0000 i sud sudanesi che si trovano nella condizione più grave e 1,4 milioni i bambini affetti da malnutrizione severa.
Impegnata a portare un po’ di luce in questo quadro vi è la Chiesa con le sue diverse espressioni. Tra queste Caritas Sud Sudan, attiva sin dal 2011 nella risposta umanitaria alle numerose crisi che hanno investito il Paese. Caritas Italiana collabora con la sorella sud sudanese, supportandola nei suoi programmi.
Emergenza alimentare e sicurezza nutrizionale, distribuzione di beni di prima necessità e fornitura di mezzi di sussistenza sono alcuni tra i principali interventi realizzati da Caritas. Di fondamentale importanza anche le iniziative di sensibilizzazione e di formazione sui temi della pace e della riconciliazione rivolte alle comunità, alle scuole, ai giovani. Sono loro i mattoncini colorati che la Chiesa ha posto come base per la ricostruzione e lo sviluppo di un Paese con un grande potenziale, ma ancora soffocato dalle ceneri fumanti della guerra.
Anche il Sud Sudan, come la Repubblica Democratica del Congo, è tra i Paesi protagonisti della campagna di Caritas Italiana “Africa, fame di giustizia”, lanciata per sollecitare una consapevolezza, un aiuto, un cambiamento, affinché i popoli dell’Africa non siano lasciati soli nel cammino verso la ricostruzione, lo sviluppo e la Pace. Un cambiamento implorato anche da Papa Francesco nell’incontro di ieri a Juba con quegli stessi leader ai quali in ginocchio aveva chiesto la Pace tre anni or sono:
“In nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace! “.
Per i leader sud sudanesi non ci sono più indugi. Il tempo è scaduto. È arrivato il momento di deporre le armi e imboccare le vie della riconciliazione e della Pace. Sud Sudan, è l’ora della Pace!
Aggiornato il 06/02/23 alle ore 15:48