Libano, giovani per la pace
Come è la situazione in Libano ora? È peggiorata negli ultimi mesi?
P – La situazione non è migliorata, è rimasta stabile. E proprio la stabilità nella crisi testimonia il fatto che il Libano stia peggiorando. Il mio Paese vive da tempo una crisi multisettoriale, trasversale a tutti gli ambiti fondamentali della vita. A partire da quello educativo; il governo non ha una visione chiara sul sistema scolastico e non sappiamo se le scuole pubbliche apriranno il prossimo anno. Attualmente gli insegnanti sono in sciopero permanente visto che guadagnano appena 50 dollari al mese. Per quanto riguarda invece il settore educativo privato, diventa sempre più costoso e le famiglie non riescono a pagare le rette: quindi moltissimi bambini, ragazzi, non potendo frequentare le lezioni rischiano di perdere anni importanti di formazione. Ci sono molti donatori e fondazioni straniere che sovvenzionano le scuole private, ma non penso sarà così ancora per molto.
Immagino che anche il sistema sanitario sia compromesso…
P – Più che compromesso è disastrato. Le persone non possono curarsi negli ospedali perché in pratica gli ospedali non esistono più. Molti medici hanno lasciato il paese, sono emigrati per trovare un lavoro all’estero. Anche curarsi nelle cliniche private è ormai impossibile per la stragrande maggioranza della popolazione perché i costi dei trattamenti sono elevatissimi e devono essere pagati totalmente in dollari. I libanesi non possono permetterselo. Tuttavia anche le strutture ospedaliere private stanno chiudendo perché non hanno più fondi, né personale medico infermieristico.
Per quanto riguarda l’ambito sociale?
P – La situazione sociale è forse quella più colpita dalla crisi. La tensione fra libanesi e profughi siriani è alle stelle. Purtroppo è comprensibile, visto che viene attuata una disparità di trattamento: ai siriani viene offerta educazione scolastica e assistenza medica gratuita dalle Nazioni Unite. Sono supportati da progetti di distribuzione di generi alimentari e di cash assistance in lire libanesi e dollari, quando per gli stessi libanesi è praticamente impossibile ritirare contante in moneta americana. In sostanza i profughi siriani, in terra libanese, ricevono dalla comunità internazionale tutto il sostegno necessario a coprire e soddisfare i bisogni primari mentre invece i libanesi sono abbandonati a loro stessi, nella loro stessa terra dove però accolgono persone in fuga dalla guerra. È un controsenso. Non è giusto che ci sia una sofferenza di tipo “a” e una di tipo “b”.
La situazione sociale è forse quella più colpita dalla crisi. La tensione fra libanesi e profughi siriani è alle stelle
La vita quotidiana è difficile. Non abbiamo elettricità, se non per un massimo di due ore al giorno. E questo quando siamo fortunati, altrimenti l’erogazione può essere sospesa anche tutta la giornata. Il resto delle ore deve essere garantito da generatori privati, ma costa molto sia mantenerli che acquistarli; di conseguenza la maggior parte dei libanesi è costretta a vivere con solo due ore di elettricità giornaliere. Se non hai elettricità non puoi avere un frigo, non puoi accendere la luce, non puoi farti una doccia calda. I suicidi stanno aumentando moltissimo. Un fenomeno inusuale per il Libano.
La vita quotidiana è difficile. Non abbiamo elettricità, se non per un massimo di due ore al giorno
Come vivono i cristiani oggi nella Terra dei Cedri?
P – Stanno abbandonando il Paese, soprattutto i giovani. Il lavoro c’è, ci sono posizioni lavorative ma vengono retribuite 50/60 dollari al mese con i quali non si può vivere. Tanti studenti universitari scelgono di completare o intraprendere la formazione all’estero. Il fatto che la popolazione cristiana in Libano stia diminuendo rapidamente, rappresenta un grande problema, perché avrà un impatto sull’identità del nostro Paese.
Dove vanno? Quali sono i principali paesi in cui scelgono di vivere?
P – Australia, Paesi del Golfo, Emirati arabi, ma anche Europa, soprattutto Francia e Italia. Stiamo vivendo un’enorme diaspora di cristiani libanesi, per cui quasi ogni famiglia in Libano ha almeno uno o due parenti che vivono all’estero. Ad esempio, mio fratello vive in Australia e mia sorella invece a Cipro ed entrambi non hanno intenzione di tornare. Se inizi un lavoro in un altro Paese, hai bisogno di comprarti una casa, una macchina e la tua vita si stabilizza lì. Soprattutto è difficile scegliere di tornare nella propria terra se le condizioni di vita sono peggiori.
Pensi che la continua diaspora dei cristiani possa cambiare l’equilibrio politico?
P – Di certo lo cambierà. Per esempio i membri del parlamento sono 128, di cui la metà cristiani, l’altra metà musulmani. Questo perché un tempo la popolazione libanese era più o meno equamente divisa fra le due religioni. Ora però la popolazione cristiana è al 37% e continua a decrescere. Non penso che i parlamentari musulmani continueranno ad accettare e promuovere l’attuale condizione di uguaglianza e rappresentatività a livello politico; chiederanno di più e i cristiani avranno di meno. Chiederanno “perché dobbiamo avere un presidente cristiano se la maggioranza del Paese è musulmano?”. Insomma questa ritengo sia la direzione verso la quale stiamo andando. E ritengo che si stia seguendo un piano ben preciso, che ci piaccia o no.
Il fatto che la popolazione cristiana in Libano stia diminuendo rapidamente, rappresenta un grande problema, perché avrà un impatto sull’identità del nostro Paese
Sei preoccupato?
P – Certamente lo sono. Stiamo perdendo un Paese, stiamo perdendo l’identità cristiana. Magari potremo sempre vivere in pace, rispettati, ma non avremo più la rappresentanza istituzionale di adesso.
Se posso chiedere… Come sta impattando la crisi, personalmente, la tua vita?
P – Per me come operatore Caritas, vedere ogni giorno persone un tempo abbienti, se non ricche, che bussano alla nostra porta per ricevere cibo, medicine, vestiti rappresenta un dolore molto grande. Ma il vero problema nasce quando non abbiamo più nulla da dare perché abbiamo esaurito le scorte. E questo mi genera una profonda stanchezza mentale e psicologica.
E tutte queste attività le gestite come dipartimento Giovani di Caritas Libano?
P – Sì, noi giovani volontari rappresentiamo la “prima linea” della Caritas libanese, è come se fossimo il suo biglietto da visita. Le persone ormai ci riconoscono, vedono le nostre uniformi, le nostre attività e progetti. Ora dovunque vada la gente sa chi sono mi chiedono se posso inserirli nel programma di aiuti, se la Caritas può aiutarli a saldare le rette universitarie dei suoi figli, se possono ricevere le medicine che non sono in grado di acquistare. In sostanza sia che si tratti di attività svolte dal nostro dipartimento giovani o da altri uffici, le persone mi identificano come Caritas. E questo è naturale dato che noi giovani implementiamo oltre 5mila progetti in tutto il Paese. Una volta ero in macchina con Roy, uno dei nostri volontari davanti a un supermercato di Beirut. Sento bussare al finestrino e un signore mi chiede “Ma per caso sei Peter di Caritas Libano? Ti ho visto oggi in tv!”.
È una responsabilità grande, questa, per voi giovani…
P – Sì lo è. Quando un giovane volontario si rende conto che ci sono uomini, donne, famiglie che dipendono dal suo aiuto sente il peso della responsabilità… ma al tempo stesso si percepisce come un supereroe che può salvare la vita delle persone. Certo il peso che questi ragazzi portano sulle loro spalle è grande, ma altrettanto lo è la motivazione che li anima. Il bello è che le centinaia di volontari Caritas provengono da città e villaggi da tutto il Libano; quindi, grazie a loro, conosciamo in maniera capillare i bisogni, le bellezze e le difficoltà di tutto il Paese e questa conoscenza ci permette di agire con efficienza a favore delle comunità locali.
Ci sono anche musulmani fra i vostri volontari?
P – Ci sono musulmani e ci sono anche stranieri, ad esempio siriani. La ragione è prevalentemente demografica, ma c’è dell’altro. Abbiamo assunto credibilità anche agli occhi dei musulmani: basti considerare che abbiamo un giovane musulmano che si occupa della diffusione della dottrina sociale cattolica e che crede fermamente nella missionarietà della Caritas.
Da quanto mi racconti, siete voi giovani che state creando quel mosaico di fedi e culture che un tempo era il Libano. E che ora sta scomparendo
P – Infatti è come se stessimo costituendo un nuovo Libano, dentro il Libano. Noi giovani proveniamo da fedi, culture, appartenenze politiche diverse. Ma quando siamo in Caritas diventiamo “uno” perché il nostro obiettivo è essere al servizio della comunità. Quando un giovane vuole entrare a far parte della Caritas, gli spieghiamo che non diventerà parte di un’organizzazione, ma di una famiglia. Perché noi viviamo, lavoriamo e ci comportiamo proprio come una grande famiglia composta da molte anime.
Ok, ma… dove prendi tutta questa energia?
P – Ci sono persone che scelgono di diventare sacerdote, frate, suora. Io ho scelto di essere Caritas e so che questa è la mia missione di vita.
Aggiornato il 22/05/23 alle ore 11:42