“In mezzo c’è tutto il resto”
Ucraina. Lungo tutto il viaggio risuonava forte dentro di me “Costruire”, una canzone di Niccolò Fabi che dice “tra la partenza e il traguardo, in mezzo c’è tutto il resto”.
Ed è quel “in mezzo” che continua a interrogarmi, ormai rientrata alla quotidianità dell’ufficio, dei programmi da portare avanti, fra la curiosità e l’attenzione di tanti. La guerra, da oltre 15 mesi, ci ricorda quotidianamente i suoi tanti volti, facce. Fra queste, l’apparente normalità che i tantissimi colpiti da eventi così sconvolgenti continuano a cercare tra scuola, lavoro, arte, musica, relazioni. Una normalità che si incontra camminando per le strade di Lviv, imparando a conoscere posti nuovi e ritrovando strade già percorse; una normalità che, nelle lunghe ore di auto verso Kiev, attraversa la quiete della campagna ucraina ora interrotta da pochi posti di blocco/checkpoint così come fermandosi in città dove la vita continua a scorrere ma allo stesso tempo i segni della guerra ti riportano prepotentemente alla realtà.
“tra la partenza e il traguardo, in mezzo c’è tutto il resto”
Di quel “mezzo” fa parte sicuramente il ricordo di una città viva e bellissima come Leopoli (Lviv) che, soprattutto nei giorni di festa, si riempie di persone di tutte le età, tantissimi bambini ma anche soldati, molti dei quali poco più che adolescenti. Un’architettura e un’organizzazione che fa invidia a molte celebri metropoli nel mondo, che però ci ricorda costantemente che la guerra continua, anche se gli allarmi suonano meno rispetto a tante altre zone del Paese. Lo ricorda nei monumenti perfettamente impacchettati perché le armi e i combattimenti non li possano distruggere. Lo ricorda negli occhi di tutte quelle persone che ostinatamente cercano un po’ di normalità: dagli adulti che giocano a scacchi nella piazza di fronte al teatro dell’opera, ai bambini che sfrecciano in skateboard, ai musicisti che in piazza riportano la cultura in mezzo ai giochi di luci e acqua dello stesso teatro dell’opera. La vita sembra andare avanti tra un allarme e l’altro ma quegli occhi ci raccontano la superficie di un dramma molto più profondo: che nel silenzio logora le persone, le energie di tanti che non si abbattono. Non ricordo espressioni di resa nei loro occhi. Ma stanchezza sì, tanta. Difficile immaginare, se non lo si prova sulla propria pelle, di vivere con le sirene che squarciano il velo della notte e di interrompere ogni giorno la scuola o il lavoro per spostarsi nei rifugi e proteggersi dagli scontri.
La vita sembra andare avanti tra un allarme e l’altro ma quegli occhi ci raccontano la superficie di un dramma molto più profondo
Porto nel cuore un’immagine di Rivne, a metà strada tra Leopoli e Kiev, quasi irreale nella sua bellezza e tranquillità ogni tanto interrotte dal passaggio di soldati o qualche check-point. È nella campagna colorata dal sole, tornato ad affacciarsi dopo un lungo e freddo inverno, dove si incontra qualcuno in bicicletta che si avventura per questa strada dove la domenica non c’è nessuno. Allo stesso tempo, durante la settimana, quella stessa strada solitaria si affolla di camion che portano aiuti umanitari o soldati e armi. Da lì, poi l’arrivo a Kiev, la capitale, la grande metropoli, dove ai bordi delle strade iniziano a comparire i cartelli di allerta mine. Se non si viene distratti dal traffico caratteristico di tutte le grandi metropoli “normali”, si offrono allo sguardo fabbriche e case bombardate. E allora, eccola lì, la guerra che ha colpito, colpisce e non è ancora finita.
Una sensazione che non abbandona la notte quando, dopo l’allarme, i droni e la contraerea iniziano la loro danza di morte. Allora il cielo si illumina brevemente di rosso tinteggiato qua e là di puntini colorati, traccia visiva di armi che portano solo distruzione. Un cielo tristemente stellato che mi ha ricordato sia le notti buie del martoriato Sud Sudan, dove ero andata per brevi missioni fino a qualche mese fa. Ma anche i ricordi familiari: ho pensato a mia nonna, alla paura delle bombe della seconda guerra mondiale che non l’ha mai lasciata. Così che ad ogni temporale, il roboante rumore dei tuoni la faceva ripiombare nel ricordo della guerra e della paura.
Allora il cielo si illumina brevemente di rosso tinteggiato qua e là di puntini colorati, traccia visiva di armi che portano solo distruzione
Video di una notte come tante, in tempo di guerra, realizzato da operatori Caritas
“Tra la partenza e il traguardo, in mezzo c’è tutto il resto” cantava Niccolò Fabi. Nelle giornate a Kiev, ancora, quel “mezzo” stava tra le poche persone per strada perché la notte precedente i bombardamenti avevano colpito duramente la città (il sindaco ha dichiarato che è stata forse la peggiore notte dall’inizio della guerra), stava nei monumenti “impacchettati” della città ancora salvi; nell’apparente tranquillità di un pranzo con i colleghi di Caritas Ukraine in un ristorante sotterraneo in pieno centro, nella famosa piazza Maidan.
Quel “mezzo” ha continuato ad abitarmi nel viaggio di ritorno a Leopoli e poi in Polonia per riprendere l’aereo per l’Italia, dopo quello che avevo vissuto. Dopo essermi resa conto che c’è molto di più e domandandomi quanto tempo ci vorrà per vedere più a fondo, per capire.
Il mio augurio personale è che, pur continuando a “stare” in quel “mezzo” con dedizione, attenzione, ascolto, non ci dimentichiamo di puntare lo sguardo al traguardo della pace.
Aggiornato il 25/05/23 alle ore 18:20