Quando è tempo di andare
Foto: Mariano Bianco, progetto “Mi sta a cuore”
La mia esperienza in Caritas Italiana è lunghissima, oltre 39 anni di servizio, ai quali va aggiunto il periodo del servizio civile, per una durata complessiva che supera i 40 anni. Un’esperienza che mi ha fatto crescere sotto ogni punto di vista, consentendomi di conoscere in Italia e nel mondo realtà che normalmente vengono trascurate o nascoste dai grandi mezzi di informazione, di incontrare tantissime persone impegnate per la costruzione di una società più umana e fraterna, di imparare a guardare la realtà con occhi diversi rispetto agli interessi dominanti o di parte e alle mode del momento. E che mi lascia una valanga di ricordi, impossibili da riassumere in poche righe.
Un’esperienza che ha avuto le sue radici nella mia famiglia di origine, dove la dimensione religiosa e l’attenzione alle persone meno fortunate sono sempre state molto presenti, e nella parrocchia che ho frequentato per molti anni fin da bambino, dove ho sperimentato concretamente la volontà di vivere secondo il Vangelo e lo spirito del Concilio Vaticano II, la ricchezza umana e spirituale di una comunità estremamente viva, l’attenzione ai fatti della storia e alla vita quotidiana delle persone, la dedizione ai bambini e ai giovani attraverso la lunga e intensa frequentazione dell’oratorio e delle loro famiglie.
Poi, nel periodo della chiamata alla leva militare, procrastinata per poter concludere gli studi universitari, l’incontro con testimoni significativi della realtà ecclesiale, la partecipazione al movimento per la pace a fronte dell’escalation delle spese militari e dell’aumento della minaccia atomica, l’esperienza familiare del terremoto del 1980 in Irpinia, la sintonia con il “nuovo” che proponevano la Caritas diocesana di Roma e la Caritas Italiana, mi hanno condotto alla scelta dell’obiezione di coscienza al servizio militare e allo svolgimento del servizio civile alternativo.
Non avrei però mai immaginato che la Caritas sarebbe diventato il mio ambito di lavoro e fino a questo momento. Avevo tutt’altre idee per la testa e pensavo che al termine del servizio civile, svolto presso la Caritas diocesana di Roma ma con un giorno settimanale di servizio presso la Caritas Italiana, avrei ripreso a collaborare in ambito universitario, come già fatto in precedenza. Fu quindi grande la mia sorpresa quando don Giuseppe Pasini, all’epoca segretario generale, mi propose di rimanere a lavorare in Caritas Italiana, con un contratto a tempo indeterminato. Non ero assolutamente preparato a una prospettiva del genere e dopo un periodo di riflessione avevo deciso di rifiutarla. Ma la notte precedente l’appuntamento concordato per la mia risposta cambiai improvvisamente decisione e così mi presentai da don Giuseppe accettando la proposta.
Così ho lavorato in questa realtà per una vita, occupandomi inizialmente di progetti di sviluppo e di emergenza in ambito internazionale, svolgendo poi nel tempo incarichi in tutti gli ambiti di Caritas Italiana e ricevendo addirittura quello di vicedirettore per un mandato quinquennale. Ma tra le diverse attività di cui sono stato chiamato a occuparmi, quella che considero più significativa è il processo che ha portato alla nascita e allo sviluppo degli Osservatori diocesani delle povertà e delle risorse, che mi venne chiesto di seguire dopo la proposta emersa in tal senso nel corso del secondo Convegno ecclesiale nazionale, che si svolse a Loreto nel 1985.
Un processo avviato insieme a un piccolissimo nucleo di direttori e operatori di Caritas diocesane che condividevano il senso della proposta, sviluppato nel tempo insieme ad alcuni colleghi di Caritas Italiana e molte Caritas diocesane e che ha consentito di giungere alla realizzazione di numerose edizioni del Rapporto sulla povertà in Italia, ormai riconosciuto a livello nazionale sia in ambito ecclesiale che civile, e a innumerevoli analoghi rapporti diocesani e regionali. Una realtà che si è concretizzata grazie soprattutto al grande e competente lavoro svolto da chi ha operato dopo di me – e opera tuttora, da molti anni – nell’ufficio Studi di Caritas Italiana e sostenuta da una rete, anche informatica, ormai consolidata. Tra le tante, è senza dubbio l’attività alla quale mi sento più legato, perché seguita dal suo nascere e perché in buona misura consona alla mia formazione universitaria.
Grazie a questa e alle tante altre attività che in tutti questi anni sono stato chiamato a seguire ho collaborato con tantissimi colleghi che ho sinceramente stimato e ho conosciuto tante significative esperienze promosse nelle Diocesi e una quantità incredibile di persone con le quali ho avuto la fortuna di sviluppare relazioni umane autentiche, molte delle quali di vera e profonda amicizia. Un patrimonio umano e spirituale inestimabile, che considero la vera ricchezza che porto con me al termine di questa lunghissima esperienza, ma che spero di poter continuare a coltivare in qualche modo.
Sono davvero tante le persone che dovrei ringraziare per tutto questo. Ma essendo di fatto impossibile, soprattutto in questa sede, ne cito solamente tre, alle quali devo moltissimo per l’inizio della mia esperienza nella Caritas e la mia formazione: mons. Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente di Caritas Italiana; mons. Giuseppe Pasini, suo strettissimo collaboratore per tantissimi anni e primo direttore di Caritas Italiana; mons. Luigi Di Liegro, storico fondatore e primo direttore della Caritas diocesana di Roma. Penso che nei loro confronti non solo io ma tutti coloro che nel tempo e a vario titolo hanno operato e operano nella Caritas, anche chi non li ha conosciuti personalmente, abbiano un debito di riconoscenza. E ringraziando loro, che in qualche modo ci rappresentano tutti, intendo così ringraziare anche i tanti altri che hanno consentito, sostenuto e accompagnato la mia esperienza.
Da giovane ho praticato l’atletica leggera a livello agonistico. La mia specialità preferita era la staffetta, in cui gareggiavo come ultimo frazionista e, in quanto tale, ricevevo il testimone per portarlo al traguardo. Ma è giunto il tempo in cui sono io che devo passare il testimone ad altri, in grado di operare meglio di me «in forme consone ai tempi», come recita lo Statuto di Caritas Italiana.
Grazie di cuore a tutti coloro che ho incontrato e che mi hanno arricchito umanamente e spiritualmente. E – spero – arrivederci, in qualche modo.
Aggiornato il 01/06/23 alle ore 11:32