Giordania, il ricamo di Aisha
«E come avete incontrato Caritas?», chiede don Marco a Hassan. Hassan e Rasha sono una coppia siriana sulla cinquantina, vengono da Homs, e sono arrivati in Giordania da sette anni.
Non hanno figli, ed è insolito per una famiglia siriana. Lui era un artigiano, faceva borse in pelle. Faceva perché ora è ridotto a letto, è stato operato da pochi mesi per problemi vascolari e ha perso un arto. Rasha è casalinga e si commuove quando gli chiediamo «come sopravvivono».
Hanno incontrato Caritas Giordania perché hanno saputo del centro sanitario di Downtown, quartiere popolare dove c’è il suk, il mercato, nella parte bassa di Amman Est, una delle zone con la più alta concentrazione di migranti del Paese, e dove è piuttosto comune incontrare donne con il velo completo, il nigab.
Caritas li ha aiutati per l’operazione e li sta assistendo fornendo un sostegno mensile di 150 JOD (circa 193 Euro) per sei mesi. Si chiama cash-for-protection, e si tratta di un contributo economico per le persone più vulnerabili e a rischio di abusi, violazioni, sfruttamento. Come loro sono migliaia le persone aiutate da Caritas, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, politica e quant’altro. Conta solo la vulnerabilità e la persona. Un sollievo economico certo, almeno per un po’, per Hassan e Rasha. Una goccia di solidarietà nel mare, se consideriamo che solo i rifugiati siriani nel Paese sono un milione e trecento mila, l’80 per cento dei quali vive sotto la soglia della povertà. Per le famiglie di rifugiati quelli per la salute, insieme ai costi per l’affitto e per il cibo, rimangono tra le spese principali e le principali cause di indebitamento. Lo sono anche per Hassan e Rasha, che dei 150 JOD del sussidio ne spendono 100 solo per pagare l’affitto dell’angusto monolocale dove vivono.
Per le famiglie di rifugiati quelli per la salute, insieme ai costi per l’affitto e per il cibo, rimangono tra le spese principali e le principali cause di indebitamento
Saluta Hassan e Rasha la delegazione di Caritas Italiana che è in missione in Giordania dal 25 al 27 luglio. Il gruppo, composto dal direttore don Marco Pagniello e da Fabrizio Cavalletti, responsabile per l’Africa ed il Medio Oriente, accompagnati dal referente basato nel Paese Alessandro Cadorin e dai colleghi di Caritas Giordania, oltre che partecipare a diversi incontri istituzionali ha visitato le attività di cooperazione e solidarietà internazionale, tra le quali quelle sostenute con l’8xmille alla Chiesa Cattolica. È infatti attivo da settembre 2022 il progetto Diffondere assistenza, protezione, supporto psicosociale e medico. che si concentra soprattutto nel fornire aiuto ai rifugiati e ai migranti più vulnerabili.
I rifugiati siriani nel Paese sono un milione e trecento mila, l’80 per cento dei quali vive sotto la soglia della povertà
La Giordania continua ad avere la seconda più alta concentrazione pro capite di rifugiati al mondo. Le difficoltà economiche e sociali si fanno ancora sentire e si riflettono nell’alto costo della vita, e negli alti tassi di povertà e disoccupazione, che acuiscono anche i conflitti tra popolazione ospitante e rifugiata. E la prospettiva non sembra rosea, se si considera che sono stati tagliati dalle Agenzie internazionali molti fondi per destinarli ad altri Paesi come l’Ucraina. Ma se saltasse la Giordania, paese stabile in una regione instabile, le conseguenze sarebbero catastrofiche.
La Giordania continua ad avere la seconda più alta concentrazione pro capite di rifugiati al mondo. […] Se saltasse la Giordania, paese stabile in una regione instabile, le conseguenze sarebbero catastrofiche
Nel quartiere di Ashrafiyeh, proprio per tutelare i più deboli, Caritas Giordania ha aperto un centro per attività di supporto pisco-sociale indirizzate principalmente a donne e bambini. Le donne e le ragazze rifugiate affrontano una serie di rischi specifici associati al loro status di sfollate, tra cui la limitazione del diritto all’istruzione e l’accesso limitato alla salute, oltre che a violenza e matrimoni precoci. Ma non sono solo donne, né solo siriani ad avere bisogno.
Non lontano dal centro della Caritas, la delegazione incontra, nel piccolo appartamento fatiscente dove vive, Saleh. Saleh, un rifugiato yemenita di Sana’a scappato dalla guerra quando le forze degli Huthi, hanno invaso la capitale dove viveva. Lui lavorava per il governo, e per non venire ucciso dall’oggi al domani ha dovuto lasciare il Paese e soprattutto la sua famiglia. La Giordania doveva essere per lui solo un Paese di transito, ma vi è di fatto rimasto bloccato, perché nonostante il riconoscimento come rifugiato, l’UNHCR non riesce a trasferirlo in un altro Paese. Così da otto anni non può tornare né proseguire il suo viaggio. Di lavorare neanche a parlarne perché, esclusi i siriani, alle altre nazionalità non è concesso avere il permesso di lavoro. Gli aiuti di Caritas e di altre organizzazioni umanitarie rappresentano l’unica possibilità di sostentamento. Ma per quanto difficile, fuori dall’aiuto umanitario, si stanno provando diverse strade, e anche la Caritas fa la sua parte.
È il caso ad esempio di Aisha, irakena di Baghdad. Nei giardini della misericordia nella parrocchia della Nostra Signora della Pace poco fuori Amman ci sono diversi laboratori gestiti dalla Caritas dove vengono impiegati rifugiati, soprattutto iracheni. Tra questi un gruppo si occupa di ricamo e cucito. Le ragazze più esperte insegnano a quelle nuove. Aisha è arrivata da meno di un anno e in quel luogo ha trovato amicizia, solidarietà ed un modo per esprimersi e ritrovare la propria dignità. I prodotti, borse di tela ricamate, vengono venduti tramite una fondazione legata alla famiglia reale, e questo permette un minimo di reddito. Ma Aisha in quel luogo ha trovato anche il coraggio per lottare in una situazione tanto difficile. In una borsa di tela che lei ha ricamato raffigurante il profilo di una donna c’è scritto in arabo: “sii forte, sii un leopardo”.
Aggiornato il 25/08/23 alle ore 08:25“sii forte, sii un leopardo”.