20 Ottobre 2023

Pragmatismo vs populismo

Italia e Germania: due Paesi, due diversi approcci al tema dell'immigrazione. Ad affrontare le grandi sfide in un’ottica di sviluppo è solo uno dei due. Indovinate quale?

Solo nei primi otto mesi di quest’anno, circa 204mila persone hanno richiesto asilo in Germania contro le 120mila dell’Italia. Dunque, pur non essendo un Paese di primo ingresso, la Germania riamane la meta preferita in Europa per i migranti, attirati dal robusto welfare e dalle opportunità economiche che offre il Paese. È evidente come, numeri alla mano, sia paradossale o quanto meno scorretta

l’accusa rivolta nelle scorse settimane dal Governo italiano alla Germania di essere poco solidale, anche perché una buona percentuale di richieste di asilo ricevute dai tedeschi viene presentata proprio da migranti giunti in Italia.

Eppure, per il regolamento di Dublino il Paese responsabile per le domande di asilo è quello di primo ingresso. Ma questo non avviene sempre, anzi. Spesso si facilita il deflusso di molti migranti verso il nord Europa per non incappare in questo onere. A ciò si aggiunge il fatto che sempre il regolamento di Dublino, approvato in sede europea per ben due volte dall’Italia, stabilisce che chi si sposta in un Paese diverso da quello dove ha presentato la sua prima domanda di asilo, deve essere rimandato indietro.

L’anno scorso la Germania ha inviato quasi 32mila richieste all’Italia affinché desse seguito ai trasferimenti, ma quelli effettivamente realizzati sono stati appena 2.623. La premier Giorgia Meloni ha motivato la sospensione dei trasferimenti di dublinati con questioni tecniche emerse improvvisamente e legate alla mancanza di capacità di accoglienza. Sono trascorsi dieci mesi da quelle dichiarazioni e la situazione è sostanzialmente rimasta invariata. Perché allora non si adegua il sistema di accoglienza per uscire da questa emergenza perenne, dando seguito agli impegni presi in sede europea e riacquistando così credibilità agli occhi degli altri Paesi?

Evidentemente le logiche di politica interna prevalgono su tutto il resto, al punto che, di fronte alle repliche ben motivate della Germania, il nostro Governo ha pensato di spostare lo scontro su un tema assolutamente residuale in termini di politiche migratorie, ma senza dubbio efficace sul fronte del dibattito pubblico: il sostegno alle Ong. Il governo italiano le ritiene un pull factor, un fattore di attrazione; al contrario la Germania ritiene queste imbarcazioni indispensabili per salvare vite umane in mare, finanziandole tramite il bilancio federale.

Mentre in Italia si discute e si legifera sull’immigrazione in termini sempre e solo allarmistici, in Germania è in corso una stagione di riforme il cui obiettivo è quello di facilitare l’integrazione lavorativa dei migranti.

Se a Roma, dunque, si interviene in ordine sparso con l’approvazione di decreti d’urgenza (ben quattro in pochi mesi), il cui obiettivo è principalmente quello di securizzare l’immigrazione, attraverso l’ampliamento del numero dei CPR, l’allungamento dei tempi di trattenimento, la previsione di garanzie economiche per evitare la detenzione e l’inserimento di minori non accompagnati in centri per adulti, a Berlino, invece, si sta lavorando su due importanti dossier: una riforma della legge sull’immigrazione di tecnici e professionisti e una sulla cittadinanza.

L’intento dichiarato è di superare alcuni impedimenti che attualmente ostacolano le procedure per l’ingresso di lavoratori qualificati, a partire dal fatto che i titoli di studio conseguiti all’estero devono essere riconosciuti dalle autorità tedesche prima dell’ingresso, oppure che il ricongiungimento familiare non è garantito o che è possibile richiedere la cittadinanza tedesca solo dopo otto anni di residenza. Sono tutti fattori che limitano in qualche modo l’inserimento di cittadini stranieri nel mercato del lavoro tedesco.

Il Paese, d’altronde, deve fare i conti con un mercato del lavoro caratterizzato da un basso tasso di disoccupazione ma al contempo con un crescente fabbisogno di manodopera sia nei settori poco qualificati dei servizi, dalle professioni sanitarie e assistenziali all’assistenza all’infanzia, sia in quelli nei quali sono richieste figure qualificate o altamente qualificate, specialmente nel settore informatico.

Per rendere più attrattivo il Paese, la nuova legge sull’immigrazione è stata affiancata da una proposta di riforma della legge sulla cittadinanza che

faciliterà la naturalizzazione dei cittadini stranieri, portandola dagli otto anni di residenza attuali a cinque, e in casi di “riuscita integrazione” il periodo può essere ridotto fino a tre anni.

Importanti presupposti sono di non dipendere da sussidi sociali e non aver commesso dei reati. Con la riforma il cosiddetto “doppio passaporto” passerà da eccezione a regola. In linea di principio, i cittadini naturalizzati potranno mantenere la loro cittadinanza originaria. Questo percorso di riforme è oggetto di un confronto politico interno tra i partiti di maggioranza e opposizione. La CDU/CSU, in riferimento alla proposta sul lavoro qualificato, ha accusato il Governo di favorire l’afflusso di persone non idonee, perché la legge attirerebbe solo lavoratori poco qualificati. Sulla riforma della cittadinanza, invece, non ha mancato di sottolineare che la cittadinanza tedesca è qualcosa di molto prezioso e non può essere svenduta.

È evidente come il livello del dibattito pubblico sul tema dell’immigrazione sia profondamente diverso nei due Paesi, sia per intensità che per qualità. Da una parte si registra un approccio prospettico, che vede nella società globalizzata un possibile vantaggio sia per il migrante, sia per il Paese che lo accoglie. Si tratta di avere una visione di futuro, in grado di superare il qui ed ora per affrontare le grandi sfide in un’ottica di sviluppo, pur nella consapevolezza che si tratta di meccanismi complessi e di lungo periodo, che richiedono investimenti anche ingenti.

In Italia assistiamo a una rappresentazione del fenomeno migratorio caratterizzata dall’ossessione per la sicurezza che diventa così la cifra costitutiva di ogni intervento in materia di immigrazione e asilo,

passando inevitabilmente attraverso decreti e circolari e non leggi, perché la produzione di norme primarie richiede tempo e soprattutto un ampio confronto in sede parlamentare.

Aggiornato il 08/11/23 alle ore 16:55