Un dolore che unisce | 2
In fuga da combattimenti diffusi in Kordofan e Gezira, sfidando la stagione delle piogge, i profughi giungono a Kosti, ultimo campo sfollati del Sudan per tentare di passare la frontiera e arrivare a Renk in Sud Sudan, primo campo oltre confine. Giovanna Bianchi, suora salesiana, già prima di Natale ci spiegava la situazione: «Al confine permettono solo alle donne sud sudanesi il passaggio. Non si fidano a far passare gli uomini perché hanno paura che portino armi e vadano a combattere. A Renk c’è un campo profughi e non ho parole per descriverlo. Il numero degli abitanti è quadruplicato per i profughi che ogni giorno arrivano dal Sudan». E da Renk, altri 4 i giorni di marcia per Malakal dove li aspetta l’ennesimo campo.
Creato a maggio 2023, il Blokal Transit Camp è gestito dal governo sud sudanese unicamente per persone di passaggio, da qui smistate verso altre destinazioni in Sud Sudan. Gli adulti sono quasi tutte donne, e due terzi del totale i bambini: essi sono radunati in famiglie con anziani guidate quasi solo da donne, con gli uomini rimasti in Sudan. Molti provenienti dal Sudan sono in realtà sudsudanesi, fuggiti dal Sud Sudan negli anni scorsi durante la guerra, da tempo in Sudan come rifugiati ed ora di ritorno nel loro paese, rifugiati di un’altra guerra. «Giungono da tutto il Sudan, ma è solo attraverso questo passaggio possono varcare la frontiera: si combatte ormai ovunque in Sudan», precisa il Vescovo di Malakal Stephen Nyodho Ador Majwok. «Solo qui il passaggio è possibile. Ne sono arrivati mezzo milione in un anno».
«Giungono da tutto il Sudan, ma è solo attraverso questo passaggio possono varcare la frontiera: si combatte ormai ovunque in Sudan»
Secondo le regole del campo, essi devono permanere un massimo di 7 giorni durante i quali il governo sud sudanese li prende in carico per poi spostarli. Ma molti restano in attesa di partire anche 20 giorni o un mese: dopo 7 giorni il contributo governativo termina, e sfamare gli sfollati diventa un problema serio appena mitigato dalle pescose rive del Nilo che aiutano ad attenuare il disastro. È a partire dell’ottavo giorno che Caritas Malakal, con il sostegno anche di Caritas Italiana, interviene con la distribuzione di una dose di lenticchie, sale, olio, sorgo. Il capo del campo ringrazia: «Caritas Malakal ha un gran ruolo qui. Anche se non è mai abbastanza. Le file sono sempre molto lunghe e spesso molti ripartono senza nulla».
«Il vero problema qui è il cibo, è sempre poco», ci dice Abdo di 22 anni, qui da una settimana: sta cercando di andare a Juba dai suoi zii e cercare un lavoro; similmente Dilek, ragazza di 23 anni qui da un mese con 3 figli e la madre: «il cibo è poco e non possiamo comprarlo fuori dal campo, troppo caro. Devo andare a Rumbek dai parenti, ma mi fanno aspettare». In realtà, prosegue il capo del campo «è una crisi di trasporto che diventa crisi alimentare»: l’Organizzazione Internazionale per i Migranti non riesce a portarli via a ritmi abbastanza rapidi, e le presenze si accumulano. Si parte verso Juba, Waw, Awuil, Rumbek, Warap, Naser, Pandiak, Robokona, ovunque le famiglie li aspettino. Si viaggia attraverso voli o imbarcazioni lungo il Nilo: per via aerea, ci sono solo 6 aerei al giorno (prima erano 12, poi divenuti 8) con 60 persone in ogni velivolo: poche centinaia partono, migliaia continuano ad arrivare. Non va meglio per via fluviale: lungo il Nilo si raggiungono molte mete, ma occorrono anche 8 o 10 giorni di navigazione, ulteriormente aumentati da posti di blocco, sia di forze governative che quelle d’opposizione.
«Il vero problema qui è il cibo, è sempre poco», Abdo, 22 anni
L’attesa estenuante di migliaia di persone, almeno 10.000 di media, alimenta tensioni e conflitti nel campo: un violento episodio figlio dell’esasperazione accade sotto i nostri occhi, obbligando la polizia a degli arresti. L’ennesimo diniego ad imbarcarsi oggi, l’attesa continua.
Ciò che preoccupa di più è che la crisi in Sudan, e con essa i suoi effetti oltre confine, non accenna a risolversi, ma anzi sembra appena iniziata e in piena espansione. Gli sfollati intanto continuano ad arrivare in Sud Sudan, sempre più numerosi, e nessuno può dire per quanto questo durerà.
Caritas Italiana è impegnata da anni in Sud Sudan per sostenere la popolazione più vulnerabile e con lo scoppio della guerra in Sudan sta appoggiando le azioni di assistenza a profughi e sfollati in Sudan e Sud Sudan e negli altri paesi colpiti dalla crisi con sussidi in denaro, materiali e servizi igienico sanitari, beni di prima necessità, ma anche interventi, come in Chad, per aiutare le donne sfollate a coltivare producendo il cibo necessario per la loro famiglia. Ma l’azione umanitaria, per quanto necessaria e bisognosa di essere potenziata, non basta. Occorre uno sforzo politico e diplomatico più intenso per un cessate il fuoco e il ripristino di un processo politico per il ritorno a un governo di civili rappresentativo del popolo sudanese e appoggiato dalla comunità internazionale che possa finalmente condurre a una pace duratura.
Aggiornato il 05/03/24 alle ore 08:36