Eucarestia, sorgente di Carità
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Durante il triduo pasquale la liturgia ci fa contemplare l’istituzione dell’Eucarestia, occasione importante per riflettere su questo grande mistero che accompagna e scandisce la nostra vita di fede, che rischia di essere deteriorato del suo senso originario: l’ascolto della Parola, la ‘‘frazione del pane” e lo Spirito invocato con la preghiera sono fondamentalmente uniti alla Carità.
Gli appunti di mons. Nervo, accompagnandoci in questa contemplazione, ci ricordano che Eucaristia e poveri sono ambedue presenza di Cristo, il suo unico corpo. A noi il compito di dare anima a tutta la comunità per poter vivere la pienezza della nostra fede.
“Gli ultimi interpellano le nostre Eucaristie” di mons. Giovanni Nervo
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Dal Vangelo secondo Matteo (26, 26-29)
«Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”.
ENTRIAMO NELLA PAROLA
«L’ultima cena, ci porta alla sorgente della carità. Corpo dato a morte, sangue versato. Gesù mi ha amato e ha dato sé stesso per me. La conseguenza vincolante che ne deriva è che noi dobbiamo dare tutto per i nostri fratelli. Non è soltanto un dovere morale, una virtù morale, è una conseguenza vitale, è un modo di essere: amati, amiamo» [1].
Dinanzi all’Amore, non siamo noi i protagonisti, bensì Cristo che ci guida, ci permea, ci trasforma. A noi spetta rispondere, accogliere una proposta, intraprendere un cammino tracciato:
«Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro» (DCE 1).
«L’Eucaristia diventa quindi il momento in cui tutta la vita della comunità cristiana si unisce intorno a Cristo risorto, ricevendo il dono del suo amore sacrificale e poi viene mandata di nuovo in missione nel mondo, per essere un segno tangibile del suo amore misericordioso come il buon samaritano, permettendo ai fratelli di sperimentare l’intensità e la potenza dell’amore di Dio per loro» [2].
Il credente che vive la Celebrazione eucaristica è certamente abbracciato, consolato dalla Grazia, ma è anche sollecitato dalla inquietudine di Dio, invaso dalla passione per l’uomo. Non possiamo, quindi, vivere la Settimana Santa contemplando la passione e la croce di Cristo senza considerare anche la sofferenza di coloro che, sparsi per il mondo, si trovano sotto la croce della guerra, della fame, dell’ingiustizia. Non possiamo ricevere la Grazia che proviene dalla preghiera comunitaria e dai sacramenti e ignorare la realtà di dolore vissuta da tante persone vicine o lontane da noi.
anche se, come il samaritano, siamo costretti ad attraversare tutte le barriere sociali e culturali che si configurano quali iniziali elementi di distanza. Il corpo di Gesù «ci interpella perché mettiamo da parte ogni differenza e, davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a chiunque. Dunque, non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri» (FT 81). Come frutto della comunione divina, per cui «ogni uomo è mio fratello», il mio prossimo ha diritto di essere trattato come tale e a ciò corrisponde il mio dovere di non sottrargli mai nulla della sua dignità umana, in un circuito di gratuita reciprocità che non può conoscere limiti.
«Il pane della Parola e il pane della Carità, come il pane dell’Eucaristia, non sono pani diversi: sono la stessa persona di Gesù che si dona agli uomini e coinvolge i discepoli nel suo atto di amore al Padre e ai fratelli» [3].
il dono ricevuto si inscrive nella vita solo se spinge chi si comunica a farsi commensale di ogni uomo, soprattutto con chi nel mondo, ancora afflitto da disuguaglianze e ingiustizie, soffre.
Allora dobbiamo prestare particolare attenzione, specialmente durante questo tempo, a mantenere unite la nostra partecipazione liturgica e la nostra vita di fede ai gesti che compiamo quotidianamente. Come la Comunità di Gerusalemme descritta nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli, tutti noi cristiani siamo chiamati a vivere quotidianamente con perseveranza: comunione, condivisione, preghiera, gioia e semplicità di cuore.
la rende un luogo accogliente per tutti, la fonte nel villaggio che offre a tutti la sua acqua sorgiva. In essa ogni diversità si armonizza, ogni voce implorante viene ascoltata, ogni bisogno trova qualcuno che si china su di esso con amore. Incontro, dialogo, apertura e festa sono le sue caratteristiche distintive. Attraverso l’Eucaristia, tutte le dimensioni della vita (tempo, energie, salute, cultura) sono raggiunte in uno spirito di servizio, dono e amore.
La Celebrazione eucaristica può essere per ognuno di noi un’occasione per impregnarci dei sentimenti di Cristo, educarci all’amore fraterno e rafforzarci nel nostro impegno di autodonazione, così da continuare a tendere verso la nostra forma originaria “a immagine e somiglianza di Dio”:
«Poiché Dio perdona, anche noi perdoniamo. Poiché Dio fa alleanza, anche noi stringiamo vincoli di comunione con i fratelli. Così il fedele, lasciandosi plasmare dal dono divino, si modella sull’atteggiamento del Signore che si dona e diventa lo strumento per cui quel dono passa ai fedeli»[4].
[1] G. Nervo Gli ultimi interpellano le nostre Eucarestie. “Spunti di riflessione dal documento: ‘Eucaristia, comunione e comunità'”. Relazione tenuta a Trento il 6 e 1’8 ottobre 1983, al Convegno Pastorale Diocesano.
[2] Ib.
[3] “Evangelizzazione e testimonianza della carità”, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni Novanta, n.1
[4] “Eucaristia, comunione e comunità”, Documento pastorale dell’Episcopato italiano, 1983
Aggiornato il 04/03/24 alle ore 15:17