Nepal, dieci anni dopo

Il terremoto, le migliaia di vittime la mattina del 25 aprile 2015
Dieci anni fa, alle 11.56 di mattina del 25 aprile 2015, un terremoto di magnitudo 7.8 ha colpito il Nepal, uccidendo quasi 9000 persone e lasciandone circa 3 milioni e mezzo senza casa. Una forza improvvisa, breve e violenta si è sprigionata lungo la faglia dove la placca indiana si sta immergendo lentamente sotto quella eurasiatica. L’epicentro è stato localizzato nel distretto di Gorkha, non molto lontano dalla capitale Kathmandu. Sono seguite numerose scosse di assestamento, la più forte delle quali il 12 maggio, con una magnitudo di 7.3. Il sisma, che ha causato anche numerose frane, ha distrutto centinaia di migliaia di case, mezzi di sussistenza, infrastrutture e monumenti di grande valore storico e culturale.
Dieci anni fa, alle 11.56 di mattina del 25 aprile 2015, un terremoto di magnitudo 7.8 ha colpito il Nepal, uccidendo quasi 9000 persone e lasciandone circa 3 milioni e mezzo senza casa.
Chi ha vissuto in prima persona un momento come questo non riesce più a liberarsi dal pensiero che un evento simile possa accadere di nuovo. “C’è tanta energia sismica accumulata – energia che dovrà essere rilasciata – dobbiamo essere sempre pronti ad un altro terremoto di grandi dimensioni”, raccontano nell’ufficio di Caritas Nepal, impegnata da decenni nella risposta alle emergenze.
In seguito al terremoto, il Nepal ha affrontato una grave crisi umanitaria, aggravata da numerosi ostacoli logistici e politici. La risposta internazionale è stata rallentata dalla congestione dell’unico aeroporto internazionale di Kathmandu, dove gli aerei umanitari rimanevano bloccati a lungo. Le infrastrutture danneggiate e la difficile conformazione geografica del Paese hanno reso difficile l’accesso alle comunità rurali più isolate, che sono rimaste per giorni senza soccorsi. A peggiorare la situazione è stato il blocco economico imposto dall’India, iniziato nell’autunno 2015 a seguito di tensioni politiche legate alla nuova Costituzione nepalese. Il blocco ha causato una grave carenza di carburante e beni essenziali, compromettendo ulteriormente le operazioni di soccorso e ricostruzione.
A peggiorare la situazione è stato il blocco economico imposto dall’India, iniziato nell’autunno 2015 a seguito di tensioni politiche
In generale, la risposta del governo è stata lenta e inefficace, frenata da burocrazia, sospetti di corruzione e conflitti tra enti statali e autorità locali. L’Autorità per la Ricostruzione, istituita appositamente, ha introdotto regolamenti restrittivi che hanno ostacolato il lavoro di molte ONG.
A distanza di mesi, migliaia di sfollati vivevano ancora in rifugi di fortuna, senza accesso adeguato ad acqua potabile, assistenza medica e istruzione. Con danni ai raccolti e agli allevamenti di bestiame, e con il crollo del turismo, l’economia del Paese ha subito danni enormi. L’impatto del terremoto è stato valutato intorno al 35% del PIL del Paese, ed è stato stimato che gli interventi di ricostruzione necessari ammontavano a circa 7 miliardi di dollari americani.
Gli interventi di ricostruzione necessari ammontavano a circa 7 miliardi di dollari americani.
Il racconto del terremoto: la storia di Sita e Sanjay
Quando il terremoto ha colpito, Sita si stava dirigendo verso casa, dopo aver lavorato nei campi tutta la mattina. Ricordando quei momenti, l’anziana signora comincia a correre a sinistra, e poi a destra, si aggrappa alla balaustra della sua casa, poi perde la presa e corre di nuovo verso sinistra. Vede la sorpresa di alcuni dei presenti e sorride.
L’espressione di Sita si incupisce, e racconta: “siamo stati fortunati perché in questo villaggio pranziamo tardi, molti di noi stavano tornando verso casa a quell’ora”. Indica poi il villaggio sulla collina vicina e continua: “loro hanno perso molti dei loro cari, avevano già pranzato e stavano facendo un sonnellino, molti non sono riusciti ad uscire di casa in tempo”.

Quando un evento di questa portata colpisce, la linea tra vivere e morire è spesso sottile, ma non è solo una questione di fortuna e sfortuna. Il Nepal era, ed è tuttora, caratterizzato da un alto tasso di povertà e grande fragilità infrastrutturale. Moltissime persone vivono in case costruite con materiali scadenti, senza la supervisione di professionisti qualificati e in violazione delle norme di sicurezza. Non erano mancati alcuni tentativi del governo di imporre norme di questo tipo, ma farle rispettare si era rivelato estremamente complicato. Così, quando la terra ha tremato di nuovo, troppe abitazioni non hanno retto.
Sanjay ricorda i primi giorni dopo il terremoto. Nel suo villaggio quasi tutte le case sono crollate e le persone, anche quelle che avevano ancora una casa, sono andate a vivere nelle tende. Racconta: “Dopo un evento del genere, è impossibile riuscire a dormire in casa. Passare molte notti fuori è complicato, e molti hanno sofferto il freddo e la pioggia, ma la paura che il tetto potesse crollargli addosso durante il sonno era troppa”.

Sister Aisha e l’attacco della tigre
Quattro giorni dopo il terremoto, Sister Aisha è arrivata nello stesso villaggio per osservare la situazione e capire come poter aiutare. Il suo viaggio in motocicletta è stato rallentato da strade danneggiate e ponti crollati. Il suo racconto è agghiacciante: “Dormivo in una tenda insieme ad altre donne; riuscivano a malapena a riposare e nei loro sguardi si percepiva il trauma che avevano appena vissuto. I bambini piangevano continuamente. Una notte, una di loro è stata trascinata via da una tigre. Da quel momento si sono sentite ancora più fragili.”
Dormivo in una tenda insieme ad altre donne. Una notte, una di loro è stata trascinata via da una tigre.
L’attacco della tigre assume un valore simbolico: una famiglia senza casa è una famiglia esposta ad un rischio altissimo. Scarsità di acqua e di servizi igienici adeguati, difficoltà a reperire cibo, inagibilità o sovraffollamento degli ospedali, esposizione alle intemperie, rappresentano minacce per la vita. Ansia, depressione e disturbi post-traumatici colpiscono adulti e bambini, che non riescono più a dormire o a studiare. Le reti sociali vengono distrutte quando alcune famiglie sono costrette a spostarsi e le comunità si sgretolano. Violenze, sfruttamento e abusi aumentano come conseguenza delle condizioni di vita complicate. Molti perdono le loro fonti di sostentamento e sono costretti ad indebitarsi, facendo grande fatica a ricostruire la propria vita. Chi perde una persona cara, perde spesso anche una fonte di reddito che permetteva alla famiglia di sopravvivere, oltre a portare con sé una ferita profonda.
Anita, vittima del traffico di esseri umani
Anita è stata ricongiunta con sua madre dopo quasi dieci anni di lontananza e molti mesi di ricerche. Quando la sua casa è crollata uccidendo suo padre, era ancora una bambina ed era andata a vivere dallo zio. Poi la fuga e l’incontro con un “agente”, un trafficante di esseri umani, che ha dato inizio ad anni di sfruttamento e abusi. Racconta: “La mia famiglia era in grandissima difficoltà dopo il terremoto, con mio zio non stavo bene e non vedevo possibilità di uscire da quella situazione, così mi sono fidata di uno sconosciuto e ho creduto alla sua promessa. Dopo molti anni, non ricordavo più dove fosse la mia famiglia, non ricordavo neanche il nome del mio villaggio, d’altronde quando tutto è iniziato ero solo una bambina”.
In Nepal, chi dedica il proprio lavoro al contrasto al traffico di esseri umani e alle migrazioni non sicure, racconta che, per anni dopo un terremoto, le comunità colpite sono particolarmente vulnerabili a questi pericoli. I trafficanti sanno benissimo dove trovare o intercettare giovani ragazze e ragazzi che, senza un genitore e senza una casa, hanno poco da perdere e faticano a vedere una speranza.
Pochi giorni dopo il terremoto, Caritas Italiana è intervenuta a supporto di Caritas Nepal e di altre organizzazioni locali, impegnate nel portare aiuto alle comunità colpite. Nel villaggio di Sita e in quello vicino, Caritas Italiana ha supportato la costruzione di due ospedali temporanei, che hanno sostituito le strutture sanitarie precedenti, distrutte dal terremoto, e un acquedotto che ha portato acqua agli ospedali e all’intera comunità. “Dopo il terremoto, nuovi problemi si sono aggiunti a quelli già esistenti. Alcune persone anziane o malate avevano bisogno di cure, la loro vita era già molto difficile. Il nuovo ospedale è stato importante per noi. I più piccoli del villaggio sono nati lì”, racconta Sita.
Nel villaggio di Sanjay, sono state condotte operazioni di primo soccorso, inclusa la distribuzione di cibo e altri beni di prima necessità; poi, in un secondo momento, sono state ripristinate attività produttive e ne sono state supportate di nuove, attraverso corsi di formazione, input produttivi e accompagnamento nella pianificazione e nell’avvio. “Quando abbiamo perso tutto, sentivo la responsabilità di trovare delle soluzioni, non volevo mostrarmi spaventato di fronte ai miei figli, ma non sapevo davvero da dove cominciare, cercavo solo qualcosa da mangiare. Quando ci avete portato del cibo, sapevamo che la strada sarebbe stata molto lunga, e che avremmo dovuto lavorare molto, ma almeno abbiamo potuto fermarci un attimo a pensare”, ricorda Sanjay. Anche qui, è stato poi costruito un sistema di approvvigionamento dell’acqua, prelevata dal fiume vicino e poi filtrata. Membri della comunità sono stati formati e supportati nella costruzione di mattoni di cemento, con cui poi loro stessi hanno costruito case resistenti a terremoti e alluvioni.
Caritas Italiana e l’impegno nel post emergenza
Caritas Italiana ha inoltre dato inizio ad una collaborazione con organizzazioni impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani e alle migrazioni non sicure, oltre che alla protezione di donne e bambini vulnerabili. Queste organizzazioni cercano di identificare le situazioni di maggiore vulnerabilità, tra le quali le comunità colpite da calamità naturali, e implementano interventi di prevenzione, protezione e persecuzione.

L’accompagnamento da parte di Caritas Italiana continua ancora oggi, distaccandosi fermamente da un modello di assistenza che ha lasciato molte comunità dipendenti da aiuti esterni e prive delle capacità e degli strumenti per ripartire in autonomia. Incontrando le persone e ascoltando le loro storie, è possibile osservare miglioramenti importanti nelle loro vite, anche rispetto alla situazione prima del sisma, ma anche numerose sfide che queste persone stanno ancora affrontando.
In un Paese colpito da povertà diffusa e da disuguaglianze profonde, dove moltissimi giovani non vedono un’opportunità e decidono di migrare, dove il sistema educativo e l’assistenza sanitaria sono ancora fragilissimi, dove terremoti, alluvioni e frane colpiscono regolarmente la popolazione, è fondamentale un modello di accompagnamento che metta la persona al centro e la renda protagonista del proprio futuro.
In occasione del decimo anniversario del terremoto in Nepal, i pensieri vanno anche ad altre terre che oggi stanno affrontando il dolore e la distruzione, come il Myanmar
In occasione del decimo anniversario del terremoto in Nepal, i pensieri vanno anche ad altre terre che oggi stanno affrontando il dolore e la distruzione. Recentemente, un terremoto devastante ha colpito il Myanmar, già profondamente segnato da una guerra che sembra non lasciare vie di uscita. La storia recente del Nepal insegna che il cammino della ricostruzione è lungo e tortuoso, ma ricorda quanto sia fondamentale essere solidali di fronte alla sofferenza, continuando a sostenere chi è nel bisogno, ovunque nel mondo.
