31 Luglio 2024

Con le migliori intuizioni

1976 | Due prassi innovative post-terremoto del Friuli: i gemellaggi con le Diocesi italiane e l’istituzione dei Centri della Comunità

Foto da “Italia Caritas” del 1976

L’articolo contiene materiali di archivio per approfondire

Caritas Italiana, 53 anni di vita, il legame stretto con la riflessione teologica scaturita dal Concilio Vaticano II, la promozione umana come una finalità per nulla estranea all’ispirazione biblica e in particolare evangelica. In altre parole, nessuna timidezza, nessun nascondersi dentro un filantropismo di maniera, ma una chiara affermazione della propria identità di organismo pastorale della Chiesa cattolica in Italia, in dialogo aperto e franco con tutte le realtà che hanno a cuore l’uomo, come ribadito in diversi punti del suo Statuto.

Dentro le vicende della Storia, dalle più gioiose alle più drammatiche, con lo stile di chi si affianca e nulla impone.

E nei passaggi più difficili della vita del Paese e non solo, Caritas Italiana si fa compagna solidale, diventa generatrice di speranza e rinascita.

Nel precedente articolo abbiamo fatto riferimento alla tragedia del terremoto del Friuli, dell’enorme moto di solidarietà che ha suscitato e abbiamo accennato a due scelte che hanno dato il segno della continuità e della concretezza del farsi prossimo: i gemellaggi tra le Diocesi italiane e le parrocchie del Friuli-Venezia Giulia e l’istituzione dei Centri della Comunità.

LE MOTIVAZIONI DIETRO LE SCELTE

Proviamo a descrivere alcune delle motivazioni che stanno dietro a quelle scelte, gli effetti a breve e a lungo termine. Quanto di quel passato costituisce ancora un patrimonio e un’eredità feconde per l’oggi e il prossimo futuro. Perché conoscere la storia consente di avere consapevolezza di quel che si è vissuto come persone e come comunità e non cadere nell’errore di considerare nuovo e originale ciò che è già stato e magari inopinatamente interrotto.

Assistenza non è una brutta parola. A un certo punto, però, è diventata sinonimo di  “assistenzialismo”: il comportamento di chi aiuta lasciando di fatto l’altro nella condizione di difficoltà in cui si trova.

In altre parole: io ho, tu non hai, io ti do e tu ricevi. Cosa cambia? Che un bisogno è stato soddisfatto fino al momento in cui si ripresenta di nuovo. Per poi ricominciare.

L’introduzione di categorie concettuali come “corresponsabilità”, “animazione”, “cittadinanza attiva”, “metodologia partecipativa”, “democrazia sociale” cambia radicalmente la concezione della relazione di aiuto. L’altro non è solo recettore passivo di una o più azioni, ma vi partecipa attivamente con la finalità di uscire per quel che è possibile dalla condizione di bisogno, valorizzando al meglio quel che sa e sa fare per sé e per gli altri.

Questo assunto di base vale per ogni situazione e come viene declinato dipende dai contesti. Non ci vuole molto a immaginare lo sconcerto dinanzi agli effetti di una catastrofe causata da un terremoto come quello del Friuli: il dolore per la perdita di vite umane, le case distrutte, quel che c’era e non c’è più. Per sempre.

E quel poco che rimane, come farlo diventare germe di speranza, di rinascita? Come dare continuità alla mobilitazione imponente e generosa dei primi momenti?

Caritas risponde a più livelli: le parole innanzitutto, che esprimono affetto e vicinanza in nome di una comune fratellanza, lo stanziamento per i primi aiuti economici perché la risposta ai bisogni primari deve essere tempestiva ed efficace e poi tutto quello che fa di un fratello in condizioni di estrema fragilità, una persona da incoraggiare e soprattutto accompagnare nel lutto, nella sua elaborazione e nella riconquista, faticosa, di una quotidianità che ritorni a essere aperta alla vita.

È con questa impostazione che le parole assistenza e animazione rinnovano il loro legame fecondo perché la prima non diventi assistenzialismo e la seconda non si perda in un astrattismo teorico. Inoltre, non si tratta solo di aprire i portafogli, attivare conti correnti, ma di smuovere e muovere le persone, farle incontrare per ascoltarsi, agire uno accanto all’altro.

I GEMELLAGGI

Lo strumento dei gemellaggi fa sentire meno solo chi sta soffrendo e più coinvolto in quell’I Care (il “mi interessa” straordinariamente declinato da don Lorenzo Milani) chi quella sofferenza non l’ha subita sulla propria carne. E muoversi non significa fare qualcosa purché si faccia, ma avere una visione, obiettivi definiti e capacità e competenze funzionali agli obiettivi da raggiungere. Questo “strumento” permette di rendere continuativo ed efficace il sostegno (per almeno due anni) alle singole comunità per tutto il periodo necessario alla ricostruzione e per garantire la personalizzazione degli interventi che consiste nell’ascolto attento e nello sviluppare valori come l’amicizia, la solidarietà. Aspetto fondamentale è il coordinamento tra Caritas Italiana, singole Caritas diocesane e singole parrocchie, al fine di evitare sperequazioni e divisioni e di convogliare risorse di gruppi, persone, mezzi.

Più di ottanta Caritas diocesane stringono un rapporto significativo con altrettante parrocchie che va oltre l’immediatezza. Condivisione e comunione ecclesiale gli assi portanti. Viene costituito un gruppo operativo stabile in seno alla Caritas diocesana che ascolta e programma. Il coinvolgimento sale di livello: non solo le Caritas ma le Chiese locali e i loro pastori: un’ottantina di vescovi, fra cui cinque cardinali, visitano ripetutamente le parrocchie gemellate.

Si manifesta anche in questa tragica circostanza una visione di Chiesa che fa propria l’icona del Buon Samaritano, attenta a quel che accade, alle persone, ai loro drammi e alle loro fragilità e si mette accanto per riprendere insieme il cammino. In poche parole, vivere in pienezza la carità. La Caritas ne è lo strumento. Non il solo, mai da sola.  

ESTRATTI DA “ITALIA CARITAS” 1976
– Piccola rassegna stampa dei settimanali diocesani >>
– Un articolo di mons. Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, e una lettera >>
– Cronache della fraternità >>
– I bambini di Masarolis (UD) raccontano >>

I CENTRI DI COMUNITÀ

Ricostruire significa anche ricostruire le relazioni e in questa direzione va la costituzione dei Centri della Comunità, che consistono in strutture prefabbricate composte da una grande sala proporzionata al numero degli abitanti che serve per gli incontri e le riunioni della comunità, per le attività scolastiche, per il tempo libero dei bambini e dei più giovani, e in genere comprende altre tre stanze: una serve come archivio parrocchiale, una seconda per un servizio di assistenza sociale, una terza come magazzino per il deposito dei generi di assistenza o come cucina.

La costruzione dei Centri viene finanziata con le offerte raccolte attraverso le Caritas diocesane d’Italia e d’Europa. Gemona, Osoppo, Tarcento sono alcuni degli oltre 60 paesi in cui il terremoto ha distrutto o rese inagibili quasi tutte le case, la chiesa, le scuole. Le persone vivono dentro le tende, smarrite e disorientate, senza un punto di incontro per vivere la socialità.

Il Centro rappresenta di fatto il luogo in cui comincia a riprendere la vita della comunità e un’esperienza di pastorale dell’emergenza.

I parroci delle località sinistrate ne fanno richiesta, il Comitato diocesano per l’assistenza ai terremotati la esamina e sulla base di una relazione tecnica e grazie al permesso comunale di installazione, provvede ad assegnare alle singole parrocchie un Centro. Viene eletto un Consiglio del Centro della Comunità che s’impegna a farlo gestire secondo un regolamento di massima elaborato dal Comitato diocesano, che comprende rappresentanti delle zone colpite. Travolti ma non annientati, i friulani provano a rialzarsi.

Ma ricordiamo che il violento sisma di maggio del ’76, a settembre dello stesso anno si ripete. «Il terremoto di maggio ha demolito il Friuli: quello di settembre ha demolito i friulani. Il primo ha distrutto le case, ma ha lasciato la speranza. Il secondo sembra aver intaccato anche la speranza». Sono le parole rivolte da mons. Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, ai rappresentanti di quasi 60 Diocesi gemellate con altrettante parrocchie distrutte. Fu una seconda durissima prova, ma a quel “sembra” riuscì ancora una volta a dare significato la solidarietà del resto del Paese nelle sue diverse articolazioni.

E il Friuli riprese il cammino.

Un Centro di Comunità | Friuli 1977
Un Centro di Comunità | Marche 2018