Online e offline: due realtà… connesse
Foto dalla Campagna del 2015 “Racismo virtual, as consequências são reais” (“Razzismo virtuale, conseguenze reali”). Nel post raffigurato: “Sono tornato a casa puzzando di nero”
Nel 2015, in Brasile, l’organizzazione femminista non governativa Criola, con sede a Rio de Janeiro, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione antirazzista chiamata “Razzismo virtuale, conseguenze reali”. Questa campagna ha avuto enorme risonanza sui media brasiliani e su quelli internazionali, soprattutto perché gli episodi di discorsi d’odio razzisti sui social media erano già in crescita. La campagna cercava di diffondere l’idea che quel tipo di comportamento sui social non fosse accettabile e, inoltre, che le conseguenze avrebbero potuto essere molto gravi e reali.
Partendo dal concetto espresso da quella azione di sensibilizzazione, l’obiettivo di questo articolo è parlare della rilevanza di comprendere che il mondo virtuale e quello offline non sono due realtà parallele, come in un film di fantascienza in stile “Matrix”. Entrambi sono invece intrinsecamente collegati, tanto che
Per dare ai lettori una chiara comprensione su questo tema, porto alcuni esempi di casi reali a dimostrazione dell’impatto negativo che può svilupparsi.
Per cominciare, nel 2016 ho condotto diverse interviste in Brasile con vittime di discorsi d’odio sui social come parte del lavoro di raccolta dati per la mia tesi di dottorato allora in corso. Una di queste persone ha raccontato in modo molto emotivo che, dopo essere stata ridicolizzata sui social con decine di post razzisti diffusi nella forma di “battute e scherzi innocui”, aveva sviluppato un disturbo da panico. Così per diversi mesi questa persona non è uscita di casa per paura di essere riconosciuta e derisa da altre persone sulla strada oppure sui mezzi pubblici. Per superare questo panico, ha dovuto sottoporsi a sedute di consulenza psicologica per parecchi mesi.
A questo riguardo, si sono verificati anche molti episodi di diffusione di contenuti altamente inquietanti e offensivi che, purtroppo, hanno portato i giovani utenti dei social a commettere l’atto estremo di attentare alla propria vita.
In questo senso, in Inghilterra, ad esempio, uno dei casi più emblematici di suicidio giovanile influenzato dai social ha coinvolto una ragazza di 14 anni, che si è suicidata nel novembre 2017 dopo essere stata esposta a un’immensa quantità di contenuti inquietanti sul suo account Instagram (oltre 2.100 post come testi, immagini e video), che incoraggiavano il suicidio come alternativa alla depressione e all’ansia.
Inoltre, secondo i dati riportati in un rapporto pubblicato in Inghilterra alcuni anni fa dalla Children’s Society e Young Minds, il 38% dei giovani inglesi hanno affermato che i social producono un impatto negativo su come essi si sentono. In aggiunta, il 46% delle ragazze hanno riferito che i social hanno un impatto negativo sulla propria autostima.
In Italia, nel giugno 2021, un ragazzo che aveva appena compiuto 18 anni si è suicidato gettandosi sotto un treno in una stazione della periferia di Torino. Il ragazzo, che era omossessuale, non ha lasciato nessun messaggio. Tuttavia, secondo le indagini della polizia, è stata trovata una moltitudine di post dispregiativi sul suo account Instagram, compresi alcuni che incitavano “morte ai gay”. Pertanto, gli investigatori ritengono che il suicidio sia stato motivato da cyberbullismo e da manifestazioni di omofobia sui social.
In altre parole, come si vede da questi casi reali, gli impatti negativi dei discorsi d’odio sui social possono essere molto seri per i giovani (il principale gruppo demografico che fa uso di queste tecnologie) ma anche per gli utenti adulti. In effetti, lo scenario rappresentato da questo campione si allinea molto chiaramente agli impatti negativi dei social, già evidenziati dall’Unesco, come si può vedere nella grafica.
Un altro aspetto molto preoccupante consiste poi nella correlazione tra discorsi d’odio con motivazioni politiche estreme e atti di violenza fisica contro individui oppure gruppi sociali vulnerabili o anche contro le istituzioni democratiche.
In questo senso, in Inghilterra, nel 2016, in occasione del referendum sulla Brexit, si è registrato un aumento considerevole degli episodi di violenza fisica contro gli immigrati dell’Europa Orientale. Nella maggior parte dei casi registrati dalle autorità, gli episodi di violenza sono stati preceduti e alimentati da diversi post aggressivi e xenofobi sui social (spesso impiegando espressioni del tipo: «Tornate da dove siete venuti»).
In Grecia alcuni anni fa si sono verificati diversi episodi di violenza contro immigrati motivati dalla ampia diffusione di discorsi fortemente nazionalisti come: «Vogliamo che la Grecia appartenga ai greci». Tali discorsi somigliano molto all’ideologia di “America first” di Donald Trump, diffusa alcuni anni fa, e anche agli slogan di tante altre figure politiche di rilevo che si trovano in altri Paesi.
Restando in tema, in modo ancora più preoccupante ricordiamo come tutto il mondo sia rimasto sorpreso nel vedere in diretta tivù a che punto si può arrivare a causa della diffusione prolungata di discorsi d’odio estremisti e di fake news. Mi riferisco all’invasione del Campidoglio negli Stati Uniti nel gennaio 2021 (dove purtroppo si sono registrate vittime) e l’invasione e il saccheggio dei Palazzi del Potere in Brasile nel gennaio 2023. In entrambi gli episodi è stato abbastanza chiaro che la folla si era comportata in quel modo dopo essere stata influenzata e infiammata per diversi mesi da discorsi politici estremisti diffusi sui social, che contestavano i risultati delle elezioni democratiche.
Sebbene dunque gli utenti dei social che si dedicano alla diffusione dei discorsi d’odio spesso dicano che i loro post sono solo “scherzi innocui” o che stanno esercitando il loro diritto alla libertà di espressione, gli esempi di casi reali presentati sopra rivelano un quadro molto diverso e abbastanza preoccupante.
Dopo tutto, come detto all’inizio di questo articolo, gli ambienti online e offline non sono due realtà distinte e scollegate. Le parole hanno inoltre una loro potenza e possono fare molto male alle persone, sia direttamente, quando sono rivolte specificamente contro qualcuno, sia indirettamente, quando incitano ad atti di violenza fisica, di follia collettiva, di depredazione e incoraggiano al suicidio.
Diventa dunque chiaro che i comportamenti e gli atteggiamenti espressi nell’ambiente online sono perfettamente in grado di causare ripercussioni molto gravi al di là di tale ambiente. Allo stesso modo, i valori, le credenze e le ideologie che le persone coltivano offline guidano i loro comportamenti e i loro atteggiamenti quando accedono ai loro account social. Per questo motivo è importante mantenere un forte senso di responsabilità in relazione a ciò che viene pubblicato.
Per concludere, una regola molto semplice ma molto efficace per valutare se il contenuto che si vuole postare sui social potrebbe eventualmente risultare offensivo, sgradevole o calunnioso per qualcuno. Mettersi per un attimo nei suoi panni e chiedersi: vorrei davvero che qualcuno scrivesse quelle cose scortesi e aggressive contro di me? Il contenuto è così “divertente” e “innocuo” come immaginavo inizialmente? Inoltre: prima di scrivere una sola riga sulla vita di qualcuno, siete assolutamente sicuri di avere tutte le informazioni concrete e verificabili?