24 Febbraio 2025

Lyubov e il potere della cura

Lyubov ha 68 anni e il corpo segnato da un dolore che non si vede. Ha lasciato la sua casa nella regione di Kherson quando le truppe russe hanno invaso il territorio. Non ha avuto tempo di pensare, di scegliere. Ha chiuso la porta dietro di sé e si è messa in cammino. Oggi vive in un rifugio per sfollati a Stryi, nella regione di Lviv. Qui ha dovuto imparare a convivere con il silenzio assordante della perdita, con la paura che non se ne va mai del tutto. E la paura è rimasta dentro di lei, nei mal di testa incessanti, nella pressione alta, nel tremore delle mani. Nell’angoscia che la paralizzava quando pensava a suo figlio, soldato al fronte, con cui comunicava sempre meno. Un’ansia che la stringeva come una morsa, togliendole il respiro.

Il primo passo verso la risalita è arrivato grazie al team di Caritas Sambir-Drohobych. Nel rifugio dove Lyubov alloggia, gli operatori hanno attivato un servizio di assistenza sanitaria e psicologica a domicilio, reso possibile con il sostegno di Caritas Italiana e il progetto RISE, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

La paura è rimasta dentro di lei, nei mal di testa incessanti, nella pressione alta, nel tremore delle mani. Nell’angoscia che la paralizzava quando pensava a suo figlio, soldato al fronte, con cui comunicava sempre meno.

Uno psicologo l’ha accolta con una domanda semplice: come sta davvero? Un test ha rivelato livelli elevati di depressione e stress. Da lì è iniziato un percorso di cura fatto di piccoli gesti: la respirazione per calmare il battito accelerato, l’arteterapia per lasciare che le mani parlassero quando la voce non ci riusciva, la mindfulness per riportare il pensiero al presente.

Il primo passo verso la risalita è arrivato grazie al team di Caritas Sambir-Drohobych. Nel rifugio dove Lyubov alloggia, gli operatori hanno attivato un servizio di assistenza sanitaria e psicologica a domicilio, reso possibile con il sostegno di Caritas Italiana e il progetto RISE, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Ma non è stata solo la terapia psicologica a farle ritrovare un equilibrio. Anche il cappellano di Caritas ha avuto un ruolo essenziale. Lyubov si è aggrappata a quelle parole di conforto come a una corda lanciata nel vuoto. Ha riscoperto il valore della comunità, il senso di appartenenza che la guerra le aveva strappato via.

Oggi Lyubov sta meglio. L’ansia si è attenuata, le mani tremano di meno. Si è rimessa in gioco: fa volontariato, partecipa ai servizi religiosi, condivide il suo tempo con chi ha vissuto il suo stesso dolore. Il passato non si cancella, ma ora sa che può guardare avanti.

La sua storia è un monito: il trauma della guerra non finisce con l’ultimo sparo. Rimane invisibile sotto la pelle. Curarlo significa dare a chi è stato spezzato la possibilità di ricominciare. Un passo alla volta, una vita alla volta.

Aggiornato il 03/03/25 alle ore 12:52